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L’INFLUSSO DELLA COSCIENZA SUL CONCETTO DI TEMPO – Capitolo 2 –

SCIENZA E FILOSOFIA: UN BINOMIO INDISSOLUBILE
Eraclito, il filosofo del “divenire”.  Il tempo è sempre stato un argomento centrale del pensiero filosofico e dell’indagine scientifica suscitando, nel corso dei secoli, interessi e giudizi spesso contrastanti.
Nell’antichità, il concetto di tempo si risolveva in un continuo “divenire” ossia come un ordine cronologico di eventi che si ripetevano con l’alternanza del giorno e della notte, delle stagioni, dei secoli e così via.

Eraclito, il filosofo del “divenire”

L’interprete più autorevole di tale teoria era Eraclito di Efeso per il quale il mondo era un flusso perenne in cui “tutto scorre (panta rei), analogamente alla corrente di un fiume le cui acque non sono mai le stesse”.
Ogni cosa, insomma, per “il filosofo del divenire”, era soggetta al tempo ed alla trasformazione, facendo apparire statica ed immobile una realtà in continuo movimento.
Conseguenza inevitabile di tale asserzione era il principio che nulla era sacro, immortale o eternamente immutabile, neanche Dio !
Il pensiero di Eraclito ci è giunto frammentario, forse per questo motivo ancora oggi la sua “enigmaticità” solleva dispute importanti nella speculazione teoretica-metafisica occidentale.
Il concetto dell’anima in Pitagora e Platone. La visione di un divenire ciclico infinito ed inesauribile all’interno di una teoria ateo-materialistica quale era stata prospettata da Eraclito, presentava singolari affinità con un’altra di ispirazione mistico-spirituale riconducibile a due altri grandi filosofi a lui quasi contemporanei: Pitagora di Samo e Platone.
La loro dottrina sul versante della percezione del tempo, di origine orientale ed ispirata all’orfismo, era imperniata

Pitagora di Samo

sull’idea dell’immortalità dell’anima attraverso la “metempsicosi”.

Secondo tale tesi, dopo la morte fisica del corpo, l’anima trasmigrava per esplorare altri mondi (il mondo dell’iperuranio, secondo Platone), raccogliere idee  e valori e reincarnarsi in altri corpi di esseri viventi (anche in piante ed animali).
Per la qual cosa, in virtù del bene e del male compiuti nelle vite precedenti, l’anima si inseriva in uno stadio superiore o inferiore di vita spiegando, in tal modo, l’innatismo delle conoscenze ossia la ragione per cui esiste un livello diversificato di saggezza e di intelligenza tra gli esseri umani.

Platone

I protagonisti della “rivoluzione astronomica”: Copernico, Galilei, Newton.
Tralasciando, per motivi di spazio, gli innumerevoli altri pensatori dell’antichità che si sono cimentati sulla questione che ci occupa, in epoca moderna, a far data in particolare dal Rinascimento, con lo scossone provocato dalla cosiddetta “Rivoluzione astronomica” nel campo delle idee, si imponeva una concezione scientifico-naturalistica del tempo che trovava soprattutto in Galileo Galilei e Isaac Newton i suoi più validi esponenti.   Prima di loro, già Niccolò Copernico aveva messo in discussione non solo la massima autorità filosofico-scientifica del passato (Aristotele) ma anche la parola di Dio (la Bibbia).

Galileo Galilei

 

Galilei e Newton, però, andavano oltre con la discussione tra “tempo assoluto”, oggettivo cioè reale ed effettivo perchè misurabile con appositi strumenti, quali l’orologio, il pendolo, ecc. e “tempo relativo”, soggettivo cioè interiore e non misurabile con congegni di precisione matematica.

Niccolò Copernico
Isaac Newton

La fisica sperimentale tracciata da Galilei e Newton, con la conseguenziale concezione meccanicistico-materialistica del tempo, apriva un lungo percorso di studio tra autorevoli menti.
L’intuizione di Kant e la teoria della relatività di Einstein.

Il filosofo tedesco Immanuel Kant, nella sua celebre opera “Critica della ragion pura”, confutava sia la visione empiristica, che considerava spazio e tempo come nozioni tratte dall’esperienza, sia quella oggettivistica che li considerava  come entità a se stanti.
Per il filosofo di Konisberg il tempo rappresentava la maniera universale attraverso la quale si percepivano tutti gli oggetti.  Per cui, “…se non ogni cosa è nello spazio, ad esempio i sentimenti, ogni cosa è però nel tempo, in quanto tutti i fenomeni in generale ossia tutti gli oggetti dei sensi, cadono nel tempo…”.

Immanuel Kant


L’intuizione kantiana basata sulla stretta relazione di interdipendenza spazio-temporale, esposta in sede teoretico-metafisica, veniva riproposta e riformulata in sede scientifica da Albert Einstein attraverso la famosa teoria della relatività del tempo oggettivo in base alla quale l’ordine di successione enunciato da Kant non era nè unico nè assoluto.
Per Einstein, infatti, non esisteva un sistema di riferimento particolare per misurare il tempo in quanto esistevano infiniti punti o spazi dell’universo nei quali la scansione del tempo (reale e oggettivo) poteva essere calcolata in termini matematici diversi dalla realtà spazio-temporale terrestre.   Come a dire che il nostro anno solare, e cioè il tempo occorrente al nostro pianeta per orbitare attorno al sole, poteva corrispondere ad un tempo diverso, un’ora o un minuto, in un altro punto cosmico.

Albert Einstein

Tempo e coscienza: la visione di Bergson.  La visione cosiddetta scientifica del tempo veniva criticata da una corrente di pensiero, il cui capostipite era il filosofo francese Henry Bergson, la quale, partendo da una riflessione di Sant’Agostino,  identificava il tempo con la nozione di “coscienza” e di “soggettività”.
Nel suo “Saggio sui dati immediati della coscienza”, Bergson, equiparando il decorso del tempo vissuto con la durata, affermava che esso non era percepibile mediante l’intelligenza bensì mediante la memoria e la coscienza.
La scienza incorreva, secondo il filosofo francese, nell’errore di considerare il tempo “spazializzato”, cioè rappresentato come una serie successiva di istanti che secondo un ordine cronologico scorrevano nella progressione passato-presente-futuro come fossero dei punti su una linea.
Questa, però, era una falsa rappresentazione della realtà perchè, ad avviso di Bergson, il tempo doveva essere considerato un movimento perpetuo e non un susseguirsi di segmenti, opera dell’intelligenza.

Henry Bergson

L’atto intellettivo, infatti, presupponeva la spazialità prima ancora della temporalità perchè il pensare comportava concettualmente il distinguere e la distinzione, a sua volta, abbisognava della spazialità.
Gli istanti che si succedono sono differenti qualitativamente e non solo quantitativamente come affermava la scienza.
L’orologio, per esempio, diceva Bergson, era il simbolo della concezione scientifica del tempo: ogni secondo, ogni ora che passa, per la scienza ha lo stesso valore perchè per la scienza conta l’aspetto quantitativo.  Ci sono, invece, secondo Bergson, tempi diversi qualitativamente, quali l’attesa, il desiderio, il ricordo, eccetera, che ogni individuo percepisce in modo personale, interiore, diverso dagli altri individui e perciò il tempo della scienza poteva essere valido per i fenomeni fisici ma non anche per la vita interiore dell’uomo che è soggetto ad un tempo vissuto di natura differente da quello concepito dalla scienza.
Il tempo “spazializzato” della scienza trovava la propria ragion d’essere in virtù dei profondi mutamenti del “modus vivendi” del genere umano imposti dal progresso tecnologico e socio-culturale soprattutto a partire dall’inizio del Novecento.
Il telefono, l’urbanizzazione, lo sviluppo dell’economia, il sistema dei trasporti e, in particolare, delle ferrovie avevano reso necessario un metodo universale del tempo, finalizzato alla coordinazione della vita nel mondo intero.
Nel 1912 a Parigi, la Conferenza Internazionale sul Tempo si era svolta per rendere uniformi i segnali orari da trasmettere nel mondo; ciò rispondeva ad un’esigenza pratica estrinsecantesi nella necessità di ordine e stabilità.   In questo caso, nella visione del filosofo francese, ci si trovava di fronte ad un tempo astratto che imponeva la distinzione fra passato, presente e futuro con una progressione regolare e continua.   Nella durata, invece, o tempo vissuto, un minuto poteva essere più lungo di un’ora in ragione di un determinato fatto di coscienza inquadrato in una visione del tutto soggettiva.
La scienza, pertanto, non poteva arrogarsi la pretesa di disciplinare tutte le dimensioni della vita umana, e quindi anche il tempo, con il ferreo determinismo della matematica e della fisica.
La coscienza dell’uomo, al di là della fredda concezione scientifica dell’identità del tempo, presentava per Bergson ininterrottamente momenti che non erano mai identici perchè il momento successivo conteneva sempre, in più del precedente, il ricordo che quest’ultimo aveva lasciato di sè.
L’eterno ritorno di Nietzsche.  In opposizione a quella rettilinea di tipo cristiano-moderno, si andava sviluppando, intanto, un’altra visione ciclica del tempo che rifiutava la sua concezione lineare come successione di momenti in cui ognuno aveva senso solo in funzione degli altri, “…quasi che ogni attimo fosse un figlio che divora il padre (=il momento che lo precede), essendo destinato a sua volta ad essere divorato dal proprio figlio (=il momento che lo segue).
Questa nuova visione trovava in Nietzsche il suo grande sostenitore e veniva definita “dell’eterno ritorno” perchè secondo tale dottrina tutte le realtà e gli eventi del mondo erano destinati a ritornare identicamente infinite volte.
Pur configurandosi come una delle problematiche più complesse della critica nietzschiana, la tesi dell’eterno ritorno spiegava che il senso dell’essere non stava fuori dell’essere, ma nell’essere stesso e che, disporsi a vivere ogni attimo della vita come coincidenza di essere e senso significava partecipare ad un gioco creativo avente in se medesimo il proprio senso appagante.
Il concetto lineare del tempo presupponeva per Nietzsche la mancanza di felicità esistenziale perchè nessun momento vissuto aveva in esso una pienezza autosufficiente di significato; il concetto dell’eterno ritorno, al contrario, realizzava “la felicità del circolo” perchè permetteva di vivere come se tutto dovesse ritornare.
Ma non tutti gli uomini, secondo il filosofo di Rocken, erano capaci di decidere l’eterno ritorno: l’uomo dei suoi tempi soffriva la scissione tra senso ed esistenza e concepiva il tempo come una tensione angosciosa verso un compimento sempre di là da venire.  Solo un “oltre-uomo” poteva collocarsi nella prospettiva dell’eterno ritorno, accettare la vita rifiutando la morale tradizionale e operando una trasvalutazione di valori.
Con sfumature diverse, più tardi Martin Heidegger parlerà anche lui del tempo come una sorta di circolo in base al quale “…ciò che si prospetta in avvenire, in quanto possibilità e/o progettualità, è già stato, e a sua volta ciò che è già accaduto in passato è ciò che si prospetta in futuro: in tal modo, il cerchio si chiude e ricomincia, rinnovandosi e perpetuandosi nell’eternità…”.

Martin Heidegger

(Nel prossimo Capitolo: LA VARIABILE TEMPORALE NELL’ARTE)