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TOP SANNIO – Giuseppe De Lucia, giornalista, scrittore, docente, in un suo scritto ipotizzo’ il luogo delle “Forche Caudine” –

Dove avvenne il memorabile fatto storico comunemente ricordato sotto il nome delle “Forche Caudine” ?
In un suo libro, pubblicato nel marzo del 1969 dal titolo “Topografia delle Forche Caudine”, il compianto Giuseppe De Lucia, all’esito di laboriose ricerche ed approfonditi studi nonche’ di osservazione diretta dei luoghi nei quali si ritiene accaduto l’avvenimento, confuto’ numerose teorie di illustri storici di fama mondiale avanzando un’ipotesi considerata tuttora la piu’ veritiera ed attendibile:
l’evento si verifico’ presso Caudio (antica localita’ dove ora sorge Arpaia), a pochi chilometri di distanza da Forchia.
Prima di addentrarsi nei dettagli dell’episodio, De Lucia passa in rassegna tutte le fonti piu’ vicine nel tempo all’evento storico respingendo le tesi di storici latini e greci famosi quali Plutarco, Diodoro, Cicerone, Dione Cassio,  per citarne solo alcuni, soprattutto per gli accenni vaghi ed indeterminati dedicati al fatto storico mentre mostra interesse per la descrizione accurata e precisa che lo storico Tito Livio fa’ dei luoghi, pur riconoscendo i limiti di quest’ultimo per la circostanza ‘temporale’ in quanto Livio visse alcuni secoli dopo i fatti di Caudio e fu costretto a servirsi degli storiografi che lo precedettero per   raccontare l’evento.
L’episodio in questione avvenne nel 320 a.C. ma il De Lucia racconta come, prima di quella data, il popolo sannita si fosse affermato “non solo sui territori della propria naturale giurisdizione, ma anche e in modo rilevante all’esterno”: Amiterno, Cassino, Marcina, Nola, Nuceria, Pompeia, Erculano, Capua erano via via cadute tutte sotto i colpi dei Sanniti con i quali i Romani erano addivenuti ad una pace ritenuta necessaria per timore della loro potenza; una pace continuamente minacciata e poi definitivamente violata dopo che il Senato di Capua invio’ legati a Roma chiedendo aiuti per liberarsi dell’oppressione sannita.
La richiesta dei Romani di far cessare immediatamente le ostilita’ contro i cittadini di Capua fu vista come una violazione dei patti e fu cosi’ che i Sanniti diedero battaglia ai Romani che li piegarono con grande fatica.
Il trattato di pace che ne segui’ fu di breve durata in quanto i Sanniti non avevano mai dimenticato l’onta subita, desiderosi com’erano di debellare Roma e riconquistare la loro liberta’ ed indipendenza.
Il Senato romano, infatti, pretese il controllo di tutte le azioni, pena l’imposizione di un contingente armato di truppe, incrementando in tal modo l’odio che i soldati sanniti nutrivano verso l’arroganza dei romani.
L’occasione di riscatto avvenne con la nomina di Caio Ponzio a capo dei Sanniti, un uomo bellicoso che riusci’ a creare nei suoi sudditi gli stimoli giusti per aspirare alla vendetta.
Caio Ponzio, da ottimo stratega, capi’ che affrontare i Romani in campo aperto avrebbe con ogni probabilita’ portato il suo popolo alla sconfitta, considerata la forza delle legioni di Roma, e preferi’ agire d’astuzia.
Nell’anno 321 c.C. due eserciti romani si accamparono presso Calatia, alle porte del Sannio, decisi a portare un attacco nel cuore della regione sannita.
Caio Ponzio condusse il suo esercito, di nascosto, nei dintorni di Caudio dopodiche’ invio’ negli accampamenti romani dieci suoi uomini, travestiti da pastori, dando loro il compito di diffondere la notizia, ovviamente fasulla, che le milizie sannitiche si erano tutte trasferite in Puglia a combattere la cittadina di Lucera, prossima ormai a cadere nelle loro mani.
C’e’ da dire che il Senato romano aveva precedentemente deliberato di trascurare la Puglia per meglio impiegare le sue forze contro i Sanniti ma le notizie ricevute avevano fatto loro cambiare idea e cosi’ i Romani decisero di marciare in direzione Puglia perche’ non intendevano perdere una citta’ confederata e fedelissima.
Dalla Campania, per raggiungere Lucera c’erano due vie: una era piu’ lunga, circa 400 miglia,  ma attraversava territori occupati da popoli amici o neutrali, l’altra, piu’ breve,circa 40 miglia,  era piu’ accidentata e per percorrerla bisognava passare in zone occupate da popoli nemici.
I Romani optarono per la seconda soluzione perche’ desiderosi di arrivare a Lucera in tempi piu’ rapidi, vista l’urgenza di prestare aiuti agli alleati.
Messosi in cammino, giunsero in un campo “acquoso ed erboso, largo ma circondato da monti e da rupi scoscese con due sbocchi angusti e selvosi. Penetrati nel primo sbocco i due consoli si avvidero che a un punto della strada vi era un’ostruzione fatta da macigni e tronchi di alberi ed impossibile era pertanto, il procedere. Essi si accorsero che il nemico era appostato sui monti circostanti e tentarono di indietreggiare ma, nel frattempo, anche lo sbocco di entrata era stato ostruito, barricato e custodito dalle armi nemiche.
Circondati da ogni dove, i Romani si accamparono in vicinanza dell’acqua ed in quella insostenibile posizione passarono quel giorno e la notte, continuamente beffeggiati e insultati dal nemico che, appostato sui monti, osservava e aspettava. I pareri erano discordi sul da farsi: nondimeno, come possiamo arguire dalla lettura di alcuni storiografi, tentarono anche di aprirsi un varco con la forza; ma vani furono i loro sforzi poiche’ ogni volta le milizie furono decimate negli assalti e private dei capi, si’ che i Romani vennero nella determinazione di inviare un’ambasceria ai Sanniti per chiedere la pace o, se questa fosse stata negata, per sollecitarli a provocare la guerra.
Incerto sul da farsi, Caio Ponzio mando’ a chiedere consiglio al vecchio padre Erennio, che l’eta’ aveva costretto a deporre ogni velleita’ di guerra. Erennio rispose: o doversi mandare liberi e salvi tutti i soldati, acquistandosi in tal modo per sempre la riconoscenza e l’amicizia del popolo romano o doversi uccidere tutti i soldati perche’ venisse inferto ai Romani un colpo tale che i Sanniti potessero essere tranquilli per un lungo giro di anni.
Caio Ponzio, pero’, non fu ne’ dell’uno avviso ne’ dell’altro e rispose ai legati: che la guerra era finita, ma poiche’ i Romani non riuscivano a deporre la loro baldanza anche nella sconfitta, egli li avrebbe fatti passare sotto il giogo, disarmati e con una sola veste.
A tale ignominia i soldati romani avrebbero preferito la morte, ma il capo dei legati L. Lentulo fece notare, con un elevato discorso, la necessita’ di conservare a Roma la vita dei suoi soldati. Allora i consoli, i legati, i Questori ed i tribuni dei soldati firmarono la pace consegnando 600 cavalieri come ostaggi. Quindi, deposte le insegne, le armi, le vesti, tutti, dai consoli ai piu’ umili soldati, passarono sotto il giogo, sopportando le grida di scherno dei soldati nemici assiepati al loro passaggio.
(Il giogo era rappresentato da due lance infisse in terra con un’altra ad esse sovrastante).
Cosi’, seminudi, presero la via di Capua.
Ma cio’ che forse non avrebbe fatto la morte fecero la vergogna e il dolore”.
Nella parte finale del libello Giuseppe De Lucia afferma:” L’ignominia subita aizzo’ i Romani alla piu’ dura delle vendette e mai furono paghi finche’ non ebbero distrutte tutte le abitazioni dei loro nemici.
Solo Benevento fu da Lucio Silla rispettata”.

GIUSEPPE DE LUCIA (1922-2008) fu docente di italiano e latino negli istituti superiori e preside in diverse scuole medie della provincia di Benevento, tra cui, per lunghi anni, la “Bosco Lucarelli” di Benevento.
Negli anni cinquanta, da giornalista-pubblicista, fu redattore capo del periodico “La vita del Mezzogiorno” edito a Santa Maria Capua Vetere; per oltre quindici anni e fino al 1970 fu corrispondente del quotidiano romano “Il giornale d’Italia”.
Nel 1961 fondo’ il settimanale “Messaggio d’oggi” assumendo la carica di direttore fino alla meta’ degli anni novanta.
Dal 1980 al 1987 fu Presidente dell’Assostampa Sannita.
                                                            Giuseppe De Lucia