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Riflessione sul reddito di cittadinanza: luci ed ombre

Da qualche tempo, specie da parte del Movimento 5 Stelle, viene sbandierata ai quattro venti l’importanza di assicurare a tutti i disoccupati un “reddito di cittadinanza” ovvero un sussidio mensile da parte dello Stato che serva soprattutto a garantire a determinate categorie di giovani l’accesso a cure mediche, servizi, formazione,ecc.
L’idea, di primo acchito, sembra buona e tale da configurare un mezzo idoneo per combattere la povertà, creare un minimo di autonomia finanziaria ed aiutare le famiglie indigenti.
La stessa, tuttavia, dev’essere rettamente intesa perchè se venisse realizzata così come concepita dai seguaci di Beppe Grillo in realtà  si configurerebbe come una misura di anti-welfare liberalizzato.
I “grillini”, infatti, sulla scia di una corrente liberista di destra, parlano di un reddito di cittadinanza “universale ed incondizionato”, del tutto svincolato dal lavoro, dalle condizioni patrimoniali e di reddito confondendo il concetto di “uguale distribuzione” con “equa distribuzione” .
In questa visione sembrano cascarci anche intellettuali di sinistra nella convinzione errata che la “post-modernità” si possa realizzare in un superamento automatico ed indolore del capitalismo in ciò sovvertendo completamente la teoria marxista del “crollo del capitalismo”.
In realtà, il reddito di cittadinanza “universale ed incondizionato” aiuterebbe ulteriormente il modo di produzione capitalistica perchè finirebbe con l’aumentare la domanda per sopperire alla crisi strutturale di sovrapproduzione che da decenni il capitale cerca di smorzare con l’obiettivo di massimizzare i profitti.
Oggigiorno, fenomeni come disoccupazione, contrazione dei salari, riduzione del potere contrattuale dei lavoratori sono generati dal modo di produzione capitalistica, caratterizzato da un aumento dell’investimento in capitale costante, e cioè i macchinari, a discapito di quello in capitale variabile, e cioè la forza-lavoro, non rendendosi conto che i lavoratori non potranno mai consumare l’enorme quantità di merci prodotte per l’insufficienza del salario percepito.  E questo sistema conduce necessariamente ad una caduta tendenziale del saggio di profitto che tanto preoccupa i capitalisti, impegnati a fronteggiare i notevoli costi di produzione.
Di conseguenza, proporre un reddito di cittadinanza “universale ed incondizionato”  senza porsi il problema di de-legittimare lo status quo, combattere la povertà e la marginalità sociale, migliorare le condizioni lavorative e, soprattutto, assicurare un lavoro a tutti, significherebbe snaturare la reale forza di uno strumento che potrebbe rivoluzionare il sistema capitalistico se usato con discernimento e con equità sociale.
Ben venga, allora, il reddito di cittadinanza ma con finalità precise e sulla base di criteri che non condannino un’intera generazione ad un futuro di precarietà, disoccupazione ed assenza di diritti.