Cos’è la “pre-morte” ? Le esperienze di “pre-morte”, note anche con la sigla “N.D.E.”, acronimo dell’espressione inglese “Near Death Experience”, riguardano quei fenomeni in cui pazienti dichiarati clinicamente morti guariscono e raccontano ciò che è loro successo durante il tempo in cui il loro corpo ha cessato, temporaneamente, di funzionare.
In genere, i soggetti presi in considerazione nei loro studi da ricercatori di tutto il mondo sono, nella maggior parte dei casi, coloro che hanno subìto un arresto cardio-circolatorio a causa di gravi malattie o gravi incidenti.
Le testimonianze. Nei migliaia di casi esaminati e sperimentati da medici, psicologi e studiosi di parapsicologia, si sono rivelati dei tratti comuni che ormai sono unanimemente riconosciuti.
Durante il tempo precedente alla ripresa delle funzioni vitali, i protagonisti di questi fenomeni abbandonano il proprio corpo, pur osservando dall’esterno ciò che succede intorno a loro, attraversano
una galleria buia in fondo alla quale intravedono una luce meravigliosa, incontrano parenti, amici, familiari morti che li accolgono amorevolmente, rivedono come in un flash gli episodi più salienti della loro vita e terminano il loro percorso consapevoli che devono ritornare alla vita terrena perchè non è
ancora giunto il momento di passare ad un’altra dimensione.
E’ da precisare che le testimonianze raccolte riguardano persone appartenenti ad ambienti culturali, religiosi e sociali della più varia natura, di età e sesso diversi, credenti ed atei o agnostici e che è circa il 10% dei pazienti rianimati che ricorda l’esperienza di pre-morte.
Le teorie contrastanti. Al loro ritorno in vita questi soggetti si sentono trasformati: non hanno più timore della morte anzi rimpiangono di essere stati rianimati, sono pervasi da un amore profondo per tutti gli esseri, riacquistano valori morali perduti o dimenticati.
Come spiegare questi fenomeni ?
Sono due, fondamentalmente, le teorie critiche e si basano l’una su un piano scientifico e l’altra su quello spirituale.
Dal punto di vista scientifico, si sostiene che in condizioni particolari (uso di farmaci, sostanze anestetiche, ecc.) il corpo umano subisce temporanee alterazioni chimiche, biologiche e neurologiche che influenzano la psiche generando quel tipo di visioni.
I sostenitori della teoria spirituale, al contrario, affermano che si è in presenza di una vera e propria presa di contatto anticipata con l’aldilà a causa della temporanea separazione dell’anima dal corpo.
E’ superfluo sottolineare che i protagonisti di questi fenomeni, appositamente interpellati, ritengono di aver vissuto realmente queste esperienze e di non essere stati condizionati da fattori endogeni od esogeni.
Ma per la scienza comune i loro giudizi non sono attendibili.
“La vita oltre la vita” di Moody. In passato numerosi personaggi illustri hanno raccontato di aver fatto esperienze del genere, tra cui ricordiamo, a titolo esemplificativo, Jung, Platone, Hemingway, Tolstoy, Hugo.
Anche nel “Libro Tibetano dei Morti” e nella Bibbia si trovano episodi analoghi.
E’ negli ultimi 40 anni circa, però, che la pre-morte è stata fatta oggetto di uno studio approfondito e sistematico.
Il più autorevole studioso della questione è oggi considerato il medico e psicologo americano Raymond
Moody (1944).
Nonostante sia credente, però, Moody precisò di non aver mai voluto dimostrare l’esistenza della vita dopo la morte in virtù dei limiti che incontra attualmente la conoscenza scientifica.
Kùbler-Ross e la psicotanatologia. Prefatrice di quest’opera di Moody è Elisabeth Kùbler-Ross (1926-2004) che nella presentazione del libro di “quel giovane studioso” sottolinea come il suo lavoro “coincide con le (sue) personali ricerche”.
La Kùbler-Ross, considerata la fondatrice della psicotanatologia ovvero il sostegno psicologico davanti alla morte per pazienti terminali e per i loro parenti, è un’altra attenta studiosa della materia ed è famosa per l’elaborazione delle cinque fasi di reazione alla prognosi mortale: diniego, rabbia, negoziazione,depressione, accettazione.
Fin dall’inizio della sua carriera ha sempre sostenuto che la morte non esiste ma è solo un passaggio ad una dimora più bella e l’immagine che lei dà di essa è davvero molto suggestiva: la morte
di un essere umano viene paragonata alla fuoriuscita di una farfalla dal bozzolo.
“…Il bozzolo può essere paragonato al corpo umano, che rappresenta solamente una dimora in cui si vive per un pò di tempo, e non è quindi il nostro vero Io. Morire è il primo stadio e rappresenta solo il trasferirsi
da una dimora ormai logora (il corpo), ad un’altra più bella. Non appena il bozzolo è in condizioni disperate, esso, per così dire, lascia libera la farfalla, cioè l’anima, che prosegue il suo percorso, entrando nel successivo stadio, il secondo, dove non si dispone più del corpo fisico, ma solo di energia psichica…”.
L’opinione di Pim van Lommel e del CICAP. Il tentativo di dare una spiegazione del fenomeno in base al proprio sistema di credenze religiose suscita un vespaio di polemiche in ambito scientifico: un cardiologo olandese, Pim van Lommel, pubblica nel 2001 nella prestigiosa rivista medica “The Lancet”
i risultati di uno studio condotto su oltre 300 pazienti insieme ad alcuni suoi colleghi concludendo che le esperienze di pre-morte sono frutto dell’attività cerebrale.
In epoca precedente (2000) anche il CICAP era intervenuto nel dibattito attraverso una nota di Armando de Vincentiis per il quale le esperienze di pre-morte sono inquadrabili nell’ambito dei naturali processi psicofisiologici.
“…La visione del tunnel – afferma De Vincentiis – per esempio, è prodotta da un naturale meccanismo neuropatologico in cui viene a trovarsi il cervello dopo un minore apporto di ossigeno, come può accadere in un trauma cranico, che inibisce l’attività delle cellule nervose; ne consegue quindi un restringimento del campo visivo dando così la sensazione di vedere attraverso un tunnel…”.
Sam Parnia, il medico “che fa rivivere i morti”. Ultimo, in ordine di tempo, il contributo di Sam Parnia, primario del reparto di rianimazione all’ospedale universitario “Stony Brook” di New York.
Dal 2008, in collaborazione con il dott. Peter Fenwick ed i professori Stephen Holgate e Robert Peveler dell’Università inglese di Southampton, conduce un progetto denominato “AWARE” (AWAreness during Resuscitation ovvero “Consapevolezza durante la rianimazione”) finalizzato alla ricerca sulle NDE che risulta essere la più estesa mai prevista perchè coinvolge 25 cliniche sparse tra Usa, Europa Centrale, India, Regno Unito e Brasile.
In un’intervista rilasciata al sito online Wired nel 2014 afferma: “Finora abbiamo avuto la prova che la coscienza umana non viene annullata con la morte. Essa continua per alcune ore dopo il decesso, nonostante sia in uno stato ibernato che noi non riusciamo a distinguere dall’esterno…”.
Grazie all’uso di tecniche sofisticate, come la rianimazione cardiopolmonare (CPR), Sam Parnia riesce ad allungare quel confine misterioso tra vita e morte.
Cancellare la morte. Nel suo libro “Cancellare la morte – la scienza che riscrive i confini della vita” sostiene che mentre fino a 50 anni fa la scienza medica era solita far coincidere il momento della morte di un individuo con il momento in cui il cuore cessava di battere e si spegneva il cervello, oggi c’è ancora la possibilità di intervenire dopo quel momento purchè lo si faccia tempestivamente e prima che le cellule si danneggino.
“…Se i medici imparano a manipolare il processo cellulare e a rallentare la velocità con la quale le cellule muoiono, noi possiamo tenerle in sospeso, risolvere il problema che ha provocato la morte della persona, far ripartire il cuore e quindi riportare in vita il paziente…”.
Dichiarazioni sconvolgenti ma rassicuranti quelle del “medico che fa rivivere i morti”, che ha deciso di studiare quei pazienti che dicono di aver vissuto strane esperienze mentre si trovavano in arresto cardiaco; pazienti che, secondo la convinzione del team di Parnia, conservano comunque ricordi e memorie.