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Letteratura Universale

RIFLESSIONI SU “IL PIANTO DELLA SCAVATRICE” di Pasolini

Un primo piano di Pier Paolo Pasolini
Un primo piano di Pier Paolo Pasolini

A quarant’anni dal barbaro assassinio, numerose iniziative sono state promosse in questo mese in vari comuni d’Italia in ricordo del grande poeta ed intellettuale, oltre che regista cinematografico, Pier Paolo Pasolini.
Non mi permetto, ovviamente, di discettare sull’importanza della sua opera e della qualità della sua poetica e del suo spessore artistico.
La sua figura, fin dai tempi della mia militanza politica, mi ha sempre affascinato e le sue produzioni letterarie, in particolare i romanzi “Ragazzi di vita” e “Una vita violenta”, sono state,e lo sono tuttora, tra le mie letture preferite.
Confesso, però, che il mio approccio alla sua poesia non è stato tra i più facili: i suoi versi mi apparivano troppo ermetici, convinto come sono che il messaggio che la poesia deve infondere al lettore dev’essere immediato e semplice, senza troppi sforzi mentali.  E poi, la musicalità non mi prendeva in modo compiuto.
Tutto questo fino a quando non mi sono imbattuto nella poesia “Il pianto della scavatrice”, un poemetto suddiviso in sei parti, scritto nel 1956, dal quale emerge con forza l’immagine di una macchina, la scavatrice appunto, che rappresenta, allegoricamente, l’emblema della sofferenza esistenziale.
Sono tanti i temi, sociali, ideologici, umani, contenuti in questi oltre 400 versi nei quali il Poeta evidenzia l’impulso irrazionale dell’uomo nella lotta per la sua sopravvivenza fino alla morte.
Ogni tanto li vado a rileggere scoprendo sempre qualcosa di nuovo e di attuale.
Oggi mi sono soffermato sull’ultima parte dell’opera (versi 41-48):
“…Ciò che era area erbosa, aperto spiazzo, e si fa cortile bianco come cera,
chiuso in un decoro ch’è rancore;
ciò che era quasi una vecchia fiera di freschi intonachi sghembi al sole,
e si fa nuovo isolato, brulicante
in un ordine ch’è spento dolore…”.
In questi versi c’è tutta l’amarezza per una natura cementificata che condanna l’uomo ed il mondo ad un rovinoso processo di trasformazione.
Quello che prima era uno spiazzo erboso diventa un cortile chiuso, gli intonaci freschi esposti al sole diventano un isolato pieno di gente il cui ordine apparente non è altro che un dolore represso perchè chi abiterà quei nuovi palazzi coltiverà invidie e rancori.
Nei versi seguenti, si fà riferimento al “rosso straccio” e cioè alla bandiera del Partito Comunista, definita “straccio” per simboleggiare la povertà della classe che difende.
Mi chiedo cosa avrebbe detto Pasolini all’indomani dell’alluvione che ha colpito la Nostra Provincia lo scorso 15 ottobre in merito alla Natura che si ribella al disegno speculativo dell’uomo.
Ma credo che la risposta sia ovvia e sulla bocca di tutti…