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LA PRIMA COPPA DEL MONDO DI GUSTAVO THOENI

Are, 13 marzo 1971: Gustavo Thoeni vince la Coppa del Mondo
Are, 13 marzo 1971: Gustavo Thoeni vince la Coppa del Mondo

Are (Svezia), 13 marzo 1971.   Un Gustavo Thoeni giovanissimo, appena ventenne, ma con la sicurezza di un veterano, pur classificandosi quinto, si aggiudica la Coppa del Mondo di sci, la sua prima generale.

L’anno precedente aveva vinto quella di slalom gigante iniziando una splendida carriera di successi: 3 medaglie olimpiche, 4 mondiali, 9 Coppe del Mondo, 69 podi, 5 campionati italiani.

 

LA  PRIMA COPPA DI GUSTAVO

da “Tuttosport” del 14 marzo 1971

Articolo di Gian Paolo Ormezzano

Gustavo Thoeni mostra la sua prima Coppa del Mondo.
Gustavo Thoeni mostra la sua prima Coppa del Mondo.

Con una semplicità addirittura straziante, da giochetto di bimbo, Gustavo Thoeni ha preso oggi ad Are, Svezia, la Coppa del Mondo di sci alpino.   Thoeni scendeva al massimo, il suo massimo di oggi, faceva il miglior tempo, 2″70/100 meglio di Duvillard, veniva festeggiato peraltro  senza latineria, intanto che l’austriaco David Zwilling, sceso con il numero nove, migliorava il tempo dell’italiano di sette centesimi.   Aldilà di che cosa sarebbe accaduto nel pomeriggio (Thoeni svuotatino e costretto inoltre alla calma da una neve nuova, freschissima, appena quinto, Zwilling rabbioso vincitore), la Coppa del Mondo era finita.   A pro di Thoeni, il quale notificava con calma di essere assai calmo.   La banalità delle sue dichiarazioni costituisce una autentica forza, Thoeni non slitta mai su una frase pericolosa, su un’emozione.   Thoeni non sbaglia niente, però nella prima parte è angioletto, nella seconda è angelo sterminatore: scende cioè sempre angelicamente, scia secondo natura, ma una natura buona, primigenia, angelica nel senso di perfettissimamente umana.   Scia senza peccati, ecco.   Sembra proprio, per Thoeni, una giornata come tutte le altre, e forse lo è, in questo ridurre le cose in una dimensione semplice, serrabile, impugnabile, controllabile, sta la forza di Gustavo, che saluta e se ne va.

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LA PARTITA DEL SECOLO

Città del Messico, 17-6-1970: Italia-Germania 4-3. La rete decisiva di Rivera
Città del Messico, 17-6-1970: Italia-Germania 4-3. La rete decisiva di Rivera
Boninsegna, Rivera, Burgnich e Riva: i marcatori italiani della partita.
Boninsegna, Burgnich, Riva e Rivera: i marcatori italiani della partita.

Ai mondiali “messicani” di calcio l’Italia mostra un duplice volto: quello deludente e sornione del primo turno, con un solo gol all’attivo in tre scialbe partite e quello esaltante della fase successiva con le vittorie contro l’Uruguay (3-1) e la Germania (4-3).

Quest’ultima contro i tedeschi verrà definita “la partita del secolo” e non solo per il risultato finale, già di per sè incredibile, ma per le emozioni dei tempi supplementari che mettono in evidenza, oltre che l’orgoglio e la classe, la grinta e lo spirito di sacrificio degli italiani.

In finale gli azzurri saranno battuti largamente dal Brasile del grande Pelè ma la sconfitta non scalfirà la grandezza di quella memorabile semifinale.

 

Germania (3-4) e Uruguay (1-3) eliminati nelle

semifinali: azzurri esaltanti

                                                              ITALIA-BRASILE E’ LA FINALISSIMA PIU’ BELLA

dal “Roma” del 19 giugno 1970

Articolo di Gianni Nicolini

Straordinaria metamorfosi degli azzurri nei tempi supplementari contro i tedeschi- Il gol di Boninsegna all’8′ e una partita tutta difensiva “punita” dal pareggio ottenuto da Schnellinger in pieno recupero –

La formazione dell'Italia
La formazione dell’Italia

Il dramma della mezz’ora di gioco in più ma anche la scoperta dell’orgoglio e della classe dei nostri giocatori- Prodezze ed errori nell’area di Albertosi- Ancora il cambio Mazzola-Rivera- Un vero fenomeno il vecchio Seeler mentre Mueller è rimasto bloccato nella trappola di Rosato- Beckenbauer gran regista a centrocampo- Forte il terzino Vogts. 

CITTA’ DEL MESSICO, 19.    L’Italia è in finale! Sembra impossibile, sembra quasi un sogno.   Quella squadra che tanto aveva deluso, irritato, e che tante polemiche aveva suscitato dopo le prime tre partite, domenica torna all’Azteca per contendersi, con il favoloso Brasile, l’assegnazione definitiva della Coppa Rimet.   Dopo anni di umiliazioni e di mortificanti esclusioni, dopo la incredibile avventura inglese, il calcio azzurro è tornato fra i primi del mondo.   In Messico ogni più ottimistica previsione è stata superata, ogni più facile pronostico è stato schiacciato.   Gli azzurri hanno battuto la Germania dell’Ovest, i maggiori esponenti del calcio atletico, l’hanno piegata sotto il peso di una classe che non è mai andata discussa, ma anche di un carattere che, invece, troppe volte ha lasciato a desiderare e che stavolta è stato sfoderato quando ormai tutto sembrava perduto.   Dopo l’incredibile 4-3

La stretta di mano tra i due capitani prima dell'inizio della partita.
La stretta di mano tra i due capitani prima dell’inizio della partita.


 inflitto agli inarrendevoli tedeschi, gli azzurri hanno confermato di essere – senz’altro! – i più forti d’Europa e di essere degni del titolo conquistato due anni fa e di difendere il prestigio calcistico del vecchio continente nell’esaltante duello con l’America Latina. Una vittoria da leggenda.   Che vittoria! Una vittoria da leggenda, da antologia sportiva!   Mai visti gli azzurri battersi con tale impegno e volontà, come a Città del Messico.   Mai visti i nostri giocatori combattere fino all’ultimo, rinunciare ad arrendersi, anche quando una partita ormai vinta stava per trasformarsi in una beffarda sconfitta.

Roberto Boninsegna, autore del momentaneo 1-0
Roberto Boninsegna, autore del momentaneo 1-0

Mai vista una squadra italiana lottare disperatamente per il risultato, per il prestigio, per l’orgoglio.   Uno scontro inenarrabile, un 4-3 che resterà inciso a caratteri d’oro nella storia della nazionale; una battaglia senza precedenti che ha nobilitato il nostro calcio e il nostro Paese; un risultato “voluto”, strappato ad ogni costo ad un avversario forte, il primo avversario veramente difficile di questa Coppa Rimet, ed anche temuto, un successo che soltanto l’errata mentalità imposta dal campionato ai nostri calciatori – che sono tra i migliori del mondo e che nulla hanno da invidiare agli altri – ha rischiato di bruciare clamorosamente.   Una partita appassionante, un’altalena di emozioni, di gol, con improvvisi capovolgimenti di fronte nei supplementari.   L’Italia va in vantaggio dopo 8′; fa coraggiosamente e disperatamente fronte al forcing dei tedeschi, incassa al 92′ un uppercut del “nostro” Schnellinger; va al tappeto all’inizio dei supplementari per un madornale malinteso fra Poletti e Albertosi; si riporta in parità fortunosamente con un gol di un terzino, Burgnich; passa ancora in vantaggio con una rete dell’incomprensibile Riva; è raggiunta di nuovo per una seconda papera della difesa; e trionfa infine con un tocco del discusso Rivera.   Mai visto uno spettacolo del genere,mai vista una reazione così veemente, decisa

La rete dell'1 a 1 di Schnellinger al 92'
La rete dell’1 a 1 di Schnellinger al 92′

e rabbiosa degli italiani; mai valutato – nettamente – sotto l’aspetto agonistico, il carattere di questi ragazzi, poichè mai questi ragazzi avevano dato l’opportunità di farlo valutare.   Tre gol in 10′ dopo un’ora e mezza di battaglia; tre gol in dieci minuti, dopo che in sette ore e mezzo di gioco in Messico ne erano stati realizzati soltanto sei !   La prestazione di Cera.   Contro la Germania gli azzurri hanno vinto perchè hanno voluto vincere, perchè si sono spogliati, forse inconsciamente, della assurda mentalità italiana, che pure ha rischiato di far perdere un risultato già acquisito e in gran parte meritato.   Si è segnato troppo presto; la sventola di Boninsegna, infilatasi all’8′ fra la mano distesa di Mayer e il palo a destra di questi, ha indotto gli azzurri a credere che si potesse resistere fino in fondo, e anzi si dovesse difendere ad ogni costo quel gol, come in Italia.   Errore ! Per 8′ l’Italia aveva giocato benissimo, Cera, assumendo una posizione mobile, elastica, intelligente, ha creato i presupposti per una battaglia alla pari.   Con “l’nvenzione” di Cera libero, la nazionale solo qui in Messico non ha mai concesso all’avversario quell’uomo in più che era stato alla base

Mueller approfitta di un malinteso fra Poletti ed Albertosi e segna il gol del 2 a 1
Mueller approfitta di un malinteso fra Poletti ed Albertosi e segna il gol del 2 a 1

delle critiche e delle polemiche ogni qualvolta usciva dall’Italia.   Mazzola ha assunto una posizione avanzata per frenare Beckenbauer, cervello dei tedeschi, Bertini si è appiccicato a Seeler, De Sisti a Overath, Domenghini a Patsche.   Si è giocato bene, senza timori, senza paure e senza complessi.   E dopo 8′ si è passati in vantaggio.   Il gol ha scatenato i tedeschi, ma ha reso inevitabilmente più prudenti gli italiani.   C’è stato un rigore di Facchetti su Beckenbauer non rilevato dall’arbitro; poi qualche tentativo di sgancia infrantosi sulla barriera che a centrocampo avevano elevato gli azzurri.   Poi man mano questa barriera è andata chiudendosi; l’Italia si è contratta disperatamente alla difesa di quel gol che poteva valere la finale e così i tedeschi, scatenati, hanno preso il sopravvento.   A centrocampo hanno dominato, hanno creato numerosi pericoli alla rete azzurra, si sono battuti con coraggio e con inesauribile volontà, com’è loro costume.                                

Rosato controlla Mueller, goleador del torneo.
Rosato controlla Mueller, goleador del torneo.

Così al 28′ Bertini ha salvato in extremis sull’intramontabile Seeler, poi una girata al volo di Mueller ha sfiorato la traversa senza che Albertosi neppure si rendesse conto del pericolo.     Anche Riva e Boninsegna sono rientrati nella metà campo; si è preso a giocare all’italiana, lasciando agli altri l’iniziativa.   Albertosi si è esibito in due spettacolari interventi.   Cera è tornato davanti al portiere, Facchetti è andato spesso in barca alle prese con il guizzante Grabowski e poi con Lohr e Libuda.   Il marcamento ad uomo – si è trasformato in un marcamento a zona, che poi in effetti era una disperata difesa del gol di Boninsegna.   Sul finire un guizzo di Mazzola, lanciato dal centravanti, avrebbe potuto consentire il raddoppio e quindi una maggiore sicurezza; ma la palla è volata alta, portandosi via le nostre speranze.   L’entrata di Rivera.   Nell’intervallo

La rete di Burgnich: è il 2 a 2
La rete di Burgnich: è il 2 a 2                                                            

c’è stato il solito cambio.    Rivera è entrato al posto di Mazzola; è entrato mentre l’arbitro stava già dando inizio alla ripresa.   E’ chiaro che negli spogliatoi erano sorte le solite ovvie divergenze.   E’ entrato applauditissimo Rivera, mentre Mazzola si è seduto in panchina fischiatissimo.   La folla a volte è davvero cattiva.   Non era questa una partita per Rivera; non era il clima, l’ambiente, l’atmosfera ideale per sfruttare le doti e l’enorme classe del milanista.   Mazzola aveva seguito timidamente Beckenbauer, non aveva brillato, è vero, ma in compenso si era dedicato al marcamento del’uomo più intelligente e pericoloso della Germania.    Rivera, invece, non solo ha liberato Beckenbauer, ma si è sentito – ed è rimasto – sempre fuori dalla lotta, anche quando Beckenbauer ha riportato una lussazione alla spalla ed è stato costretto a giocare per tutto il resto della partita con il braccio legato al collo (insostituibile perchè i

Mueller segna il gol del 3 a 2 per la Germania sfruttando un altro errore della difesa azzurra.
Mueller segna il gol del 3 a 3 per la Germania sfruttando un altro errore della difesa azzurra.

tedeschi già avevano rimpiazzato due giocatori).   Cosicchè nella ripresa si è giocato ancora una volta all’italiana.   Tutti dentro la metà campo, a volte tutti inarea; e i tedeschi tutti avanti, scatenati.   Azzurri in difesa.   Alla nostra ottusa impostazione tattica ha fatto riscontro una serie di errori tedeschi, che hanno mancato il pareggio tre, quattro, cinque volte.   Ai nostri è mancata la spinta propulsiva di Rivera, non ci sono stati i lanci del milanista a Riva, e non c’è stata l’esplosione di questi.   La Germania ha così dominato, ma ha sbagliato molto.   Con Mueller annullato da Rosato, ai tedeschi è mancata la punta più efficace; cosicchè il commovente Seeler, con Grabowski, Lohr – poi rimpiazzato dal più pericoloso Libuda – hanno sbagliato una quantità di occasioni e dopo un gol fallito dallo stesso Libuda al 16′, Grabowski ha colpito una traversa e poco dopo un secondo penalty su Seeler non è stato rilevato.   Per mezz’ora gli azzurri sono stati in balìa del ciclone tedesco.   Hanno rischiato di essere travolti.   Si sono difesi a denti stretti, ma purtroppo all’italiana !

Gigi Riva calcia in rete il pallone del 3 a 3.
Gigi Riva calcia in rete il pallone del 3 a 2.

Cioè con affanno, con apprensione.   La carta vincente di Schoen è stata lo sganciamento di Schnellinger e la sostituzione di Patsche, centrocampista, con Held, un attaccante.   Il “milanista” si è inserito nel mezzo della mischia agendo in piena libertà, mentre Held ha costretto Domenghini a retrocedere sulla linea dei terzini ed è apparso strano che Valcareggi non abbia immesso un diifensore al posto dell’ala.    La manovra degli azzurri è diventata così ancora più rischiosa, serrata, disperata.   I tedeschi avevano un uomo in più a centrocampo, Schnellinger, che i nostri non hanno saputo controllare, perchè era l’avversario di…nessuno, ed un uomo in più all’attacco.   Si è giocato, così, sempre nella metà campo azzurra e per la rinuncia degli italiani la folla messicana ha preferito sostenere la Germania !   Albertosi si è esibito in altri strepitosi interventi, Seeler e compagni hanno mancato ancora occasioni ed una l’ha mancata anche Riva, scomparso completamente

Rivera ha calciato spiazzando Mayer. E' il 4 a 3 finale.
Rivera ha calciato spiazzando Mayer. E’ il 4 a 3 finale.

con Boninsegna, anche se entrambi erano controllati da un solo avversario.   Con queste premesse il pareggio è stato inevitabile, ed anche giusto.   Che poi sia venuto al secondo minuto di recupero, è stato uno scherzo della sorte, ma anche un monito per gli azzurri, una dura lezione, un’altra lezione di mentalità e di costume calcistico.   Avessero giocato di più – non diciamo  avessero attaccato – avessero per lo meno “osato”, se non avessero rinunciato definitivamente al gioco dedicandosi soltanto ad una strenua difesa dell’unico gol, gli azzurri avrebbero evitato la beffa e, con essa, l’incubo dei supplementari.   Ma in questa fase si è avuta la più incredibile metamorfosi degli azzurri, improvvisamente trasformati.   Fino ad allora, la loro reazione fisica era stata eccellente, ma si temeva il crollo psicologico.   I tedeschi – altra razza – hanno un carattere diverso, una carica che non si esaurisce

La palla del 4 a 3 è in rete: il portiere Mayer si dispera, più in là Domenghini esulta.
La palla del 4 a 3 è in rete: il portiere Mayer si dispera, più in là Domenghini esulta.

mai e che aumenta col rischio, col pericolo, con l’incerto.   Gli italiani avevano pregustato il successo per più di 80′ e lo avevano visto sfuggire di mano quando ormai la partita era finita; ma avrebbero potuto, in queste condizioni, anche cedere.    E questa impressione è stata avallata dal gol di Mueller determinato da un’incertezza fra Albertosi e Poletti, il quale ultimo  aveva sostituito l’infortunato Rosato, il cui posto era però stato preso da Burgnich.   Appena mollato da Rosato, Mueller ha fatto centro; e sul 2-1 per i tedeschi, si è temuto effettivamente il crollo.   Riscatto favoloso.   Invece, da quel gol è nato il riscatto.   Un riscatto clamoroso.   E’ stato Rivera, il più lucido, il più intelligente, ma anche il più freddo, a prendere in mano la bacchetta del comando.   Un suo calcio di punizione ha dato a Burgnich la possibilità di riportarci in parità.   E si è ripreso a sperare.   Ancora 4′ con i tedeschi scatenati, ma praticamente senza Beckenbauer, ed altro lancio di Rivera, questa volta a Domenghini, che mette in azione Riva: uno scatto, dribbling sulla sinistra e finalmente il cannoniere ottiene un gol, irresistibile, non stupendo, ma importante, quasi decisivo.   In otto minuti gli azzurri avevano saputo rimontare lo svantaggio in condizioni psicologiche difficili. Perchè ?   Perchè avevano ripreso a giocare, così come sanno giocare, come dovrebbero sempre giocare.   Ormai tutto era perduto.   Dalla disperata attesa del successo si era passati al pareggio e quindi alla sconfitta.   Non c’era nulla altro da fare che giocare e liberarsi della mentalità “italiana”, ed il risultato

Rivera, abbracciato da Riva, esulta dopo il gol.
Rivera, abbracciato da Riva, esulta dopo il gol.

è tornato dalla parte degli azzurri che hanno corso molto più dei tedeschi.   Secondo tempo supplementare; ancora una papera della difesa e terzo pareggio dei tedeschi, sempre con Mueller, e ancora al 5′.   Terza prodezza di Rivera: scende Boninsegna sulla sinistra, evita un difensore e crossa rasoterra.   Scatta Rivera che finta e tocca dolcemente, mettendo la palla là dove nessuno poteva andarla a prendere ! Un gol da fuoriclasse ! Un gol di un uomo che aveva lasciati perplessi per il suo comportamento nella ripresa e che invece è risultato decisivo nel finale.   Con la sua calma, la sua visione di gioco, la sua intelligenza, Rivera ha illuminato la squadra dandole chiarezza ed incisività.   Su quel gol la partita si è chiusa.   Per altri 9′ l’Italia non si è difesa, ma ha giocato.   

La partita è finita. Gli azzurri fanno festa.
La partita è finita. Gli azzurri fanno festa.

Avesse fatto così anche nei secondi 45′ non avrebbe incassato il gol di Schnellinger, ma avrebbe vinto a testa alta.   Per un’impennata d’orgoglio, di rabbia e di classe, la nazionale ha vinto ugualmente.   Se avesse vinto per 1-0 difendendosi, avrebbe lasciato discutere.   Invece ha vinto con fatica, ma con merito.   I tempi supplementari hanno nobilitato il successo.   La qualificazione per la finale va al di sopra di qualsiasi nome, di qualunque polemica.   Domenica c’è il Brasile, il grande, favoloso Brasile.   Il Brasile che fino a qualche anno fa sembrava per noi un “mondo irraggiungibile”.   Adesso siamo alla pari.   I carioca hanno i loro funamboli fuoriclasse, noi abbiamo i nostri campioni e la nostra squadra.   Il duello Pelè-Riva, che alla vigilia sembrava il motivo dominante dei mondiali, è diventato una realtà benchè il nostro cannoniere sia venuto meno all’attesa.   Ora non importa vincere.   Siamo già andati oltre le previsioni.   Nella peggiore delle ipotesi siamo i secondi nel mondo.   Se abbiamo perso i gol di Riva, abbiamo ritrovato una squadra nella quale nessuno più credeva.   Speriamo di aver ritrovato definitivamente una nuova mentalità.   Il calcio si gioca giocando.   E giocando si vince.   E poichè sappiamo giocare, si può vincere ancora.

 

 

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KLAUS DIBIASI, UN TUFFO NELL’ORO

Klaus Dibiasi
Klaus Dibiasi

Dopo aver vinto la medaglia d’argento dalla piattaforma di 10 metri a Tokyo e la medaglia d’oro agli Europei di Utrecht nel 1966, il tuffatore Klaus Dibiasi si presenta alle Olimpiadi di Città del Messico nel 1968 in veste di favorito.

E il campione di Bolzano non delude le aspettative.

Grazie ai suoi straordinari mezzi fisici e tecnici ed alla sua incredibile freddezza, batte tutti e vince la medaglia d’oro.

Ne seguiranno tante altre ancora di medaglie: alle Olimpiadi (Monaco 1972, Montreal 1976), ai Mondiali (Belgrado 1973, Cali 1975), agli Europei (Vienna 1974) oltre a medaglie d’argento in queste competizioni ed a 29 titoli italiani, compresi gli indoor.

DIBIASI TERZO ORO PER L’ITALIA

CON PIENO MERITO E NETTO VANTAGGIO

da “La Gazzetta Sportiva” del 27 ottobre 1968

Articolo di Aronne Anghileri

 

Città del Messico, 26.10.1968: Klaus Dibiasi conquista l'oro olimpico
Città del Messico, 26.10.1968: Klaus Dibiasi conquista l’oro olimpico

Klaus Dibiasi, un misto di ferro e di ghiaccio, ha vinto finalmente la medaglia d’oro che gli era sfuggita quattro anni fa, schiacciando i suoi avversari con i tre tuffi della finale nella gara dalla piattaforma, rafforzando il vantaggio che già aveva al termine della fase eliminatoria.   La vittoria di oggi, aggiunta alla medaglia d’argento dal trampolino, fa del campione di Bolzano il vessillifero dello sport azzurro  in questa Olimpiade non fortunata.   La finale è stata una formalità, per il ragazzo, che non sbaglia quando la battaglia diviene una questione di nervi saldi.   Tre tuffi da effettuare, un vantaggio già accumulato di 5 punti, due avversari innervositi da tenere a distanza, da spaventare con la calma che gli è caratteristica, con la faccia di ghisa che sa inalberare nei momenti cruciali (…).   Klaus Dibiasi ha placidamente dormito una notte sulla gara già iniziata: non turbato da nessuna preoccupazione fuori luogo, si è presentato in piscina sereno come sempre, per affrontare la seconda parte dei 10 salti dalla piattaforma.   Si trattava della parte cruciale della competizione dato che con gli ultimi tre tuffi della fase eliminatoria il campione d’Europa doveva prendere la testa, spaventare gli avversari, ottenere tutto il credito possibile dei giudici, farsi amico il pubblico che lo apprezza ma tifa in modo estremo per i suoi messicani.     E soprattutto, ieri pomeriggio

Il campione olimpico Klaus Dibiasi
 Klaus Dibiasi, in una foto scattata durante le Olimpiadi di Montreal del ’76

   Klaus doveva affrontare il tuffo più difficile di tutti, l’uno e mezzo con triplo avvitamento, quello che ha deciso la gara.   Perchè, ora che è fatta possiamo anche dirlo, Klaus il triplo avvitamento non l’aveva in pugnocome sarebbe stato desiderabile.   (…)  Bene, in gara il triplo avvitamento è stato premiato dalla giuria perfino con un 9, fra il consenso calorosissimo delle tribune strapiene.   Ed allora noi pensiamo che di fronte ad un campione del genere, che nei momenti difficili sa mantenere tutta la freddezza necessaria ad estrarre i pezzi più pregiati del suo repertorio, tutti gli avversari possano gettare la spugna(…).

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BENVENUTI VS. GRIFFITH

New York, 18 aprile 1967: Nino Benvenuti batte Emile Griffith
New York, 18 aprile 1967: Nino Benvenuti batte Emile Griffith

Nella notte tra il 17 e il 18 aprile 1967 un numero incredibile di italiani (tra i 16 e i 18 milioni, inferiore solo alla partita Italia-Germania 4-3) segue alla radio l’incontro di boxe tra Nino Benvenuti ed Emile Griffith valevole per il titolo mondiale dei pesi medi.

La sfida è appassionante.   Alla quarta ripresa Nino cade al tappeto ma si rialza e comincia la rimonta.

Vincerà ai punti prevalendo in 10 riprese su 15.

Prima di lui, solo un altro europeo, Marcel Cerdan, era riuscito a conquistare la corona mondiale.

 

PARLA NINO: “La mia vittoria vale più di un k.o.”

GLORIA A BENVENUTI

Coraggio e intelligenza

da “La Gazzetta dello Sport” del 19 aprile 1967

Articolo di Maurizio Mosca

New York, 18 aprile – Nino Benvenuti è sceso nella hall dell’Hotel Victoria stamane alle 11,30.

Una fase dell'incontro
Una fase dell’incontro

La notte dopo Griffith era stata anche sofferta e irrequieta per via della tensione e delle fatiche che doveva smaltire.   Il campione del mondo è parso comunque fresco.   Sul volto solo un cerotto – sul naso -; le testate e i capelli di Griffith, duri come aghi, gli avevano provocato una ferita: sono state necessarie due graffette.   Nino viene preso d’assalto.   Ieri sera, dopo il match, sfinito non aveva parlato.   “E’ stata una vittoria stupenda – inizia -. Vale più di un successo per k.o.   E’ stato un combattimento perfetto.   Come uomo ho fatto capire a tutti quanto anch’io sappia soffrire; come pugile ho imposto il mio valore di fronte ad un grande campione.   Grande lei, soprattutto, dopo il k.o. della quarta ripresa.-Già. Lì ho subìto un colpaccio sotto l’orecchio sinistro; ho perduto l’equilibrio ma non i sensi, ed ho avuto un recupero immediato.   E’ stato un colpo forte, portato con una velocità impressionante, impossibile prevenirlo.-   E il colpo che ha atterrato Griffith ?   Un montante destro al mento, ma anche lì ho capito

Griffith al tappeto colpito dal montante di Benvenuti.
Griffith al tappeto colpito dal montante di Benvenuti.

che il pugno non sarebbe stato risolutore.   Griffith ha strabuzzato gli occhi, ma ho compreso che avrebbe subito recuperato. – Questo Griffith se l’aspettava così ?   Bè, quasi.   Ha le braccia dotate di una velocità eccezionale, ma sulle gambe non è un granchè, sul tronco è mobile, fa anche male, ma contro di me ieri sera non poteva fare nulla per vincere.   Io ero in una forma meravigliosa, che mi ha consentito di compiere delle cose alle quali non avrei forse creduto nemmeno io.     Per esempio ? – Anzitutto non sono mai stato emozionato, e lui invece lo era.   Durante le riprese, durante gli intervalli lo guardavo fisso negli occhi per studiarlo meglio nelle sue intenzioni, nei suoi momenti facili e difficili.   Poi la continuità: mai una pausa, come mi ero del resto ripromesso, come avevo assicurato agli sportivi italiani.   Non mi sono inoltre mai innervosito, lui si, e lì pagava. – Quando ha capito di poter vincere ? – Sempre, fin da quando sono andato in macchina al Madison; con Amaduzzi e Golinelli facevamo già i progetti per il futuro: sul ring a metà incontro.   Attaccandolo con la dovuta cautela, stringendolo alle corde, lui perdeva la testa. – La ferita ? – Le testate e i capelli di Griffith.  E poi dicevano che lo avrei tenuto, legato.  Si è dimostrato invece che proprio Griffith ha sempre cercato, buttandosi addosso a testa bassa, di tenermi.   Lo ha trovato scorretto ?- Con la testa sì, ma io potevo evitarlo essendo più alto.   Comunque anche lui ha combattuto nei limiti dei regolamenti quasi sempre.- Il pubblico ? Meraviglioso.  Meglio che se avessi combattuto a Roma; e il suo sostegno ha avuto un ruolo determinante.- L’arbitro ? Direi perfetto.   Cos’è la storia che in America non eistono i break, che non si può tenere ? – In una rivincita cosa farebbe di diverso ? – Niente. Lo conoscerei meglio, quindi vincerei con maggiore facilità. – Come vedrebbe Mazzinghi contro Griffith ? – Siamo troppo diversi io e Sandro per poter giudicare tale eventualità. – E’ stato il match più duro della sua carriera ?- No, perchè ero preparato ad affrontare Griffith e un altro insieme.  Altre volte ho sofferto di più perchè non allenato,- Progetti ? Bè, la rivincita con Griffith, poi mi si sono aperti orizzonti infiniti,- E il titolo europeo ? Lo terrò e lo difenderò. In Europa il limite dei medi è di 75 chilogrammi, quindi posso giostrare in quei due-tre chili sfruttando ambedue i titoli…(…).

 


 



 


 

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Il primo mondiale di GIACOMO AGOSTINI

11 settembre 1966: Giacomo Agostini è Campione Mondiale nella classe "500"
11 settembre 1966: Giacomo Agostini è Campione Mondiale nella classe “500”

L’11 settembre 1966, alla guida di una MV Agusta, Giacomo Agostini vince il suo primo titolo mondiale nella classe “500”.

L’ultimo italiano a fregiarsi del titolo iridato era stato il grande Libero Liberati nove anni prima.

L’ultima corsa del campionato, a Monza, è avvincente: l’inglese Mike Hailwood, ex compagno di squadra e protagonista di numerosi e appassionanti duelli con l’italiano, è in testa grazie alla cattiva partenza di Agostini che però recupera, giro dopo giro, fino a raggiungere e superare il fortissimo rivale aggiudicandosi gara e titolo iridato.

Nel corso della sua strepitosa carriera Giacomo Agostini ne vincerà altri 14 di campionati mondiali, tra classe “350” e classe “500”, rivelandosi tra i più formidabili campioni del motociclismo sportivo di tutti i tempi.

“MONDIALE” 500 AD AGOSTINI

UN PILOTA ITALIANO RIVINCE DOPO NOVE ANNI

da “La Gazzetta dello Sport” del 12-9-1966

Articolo di Enrico Benzing

 

Giacomo Agostini è campione del mondo assoluto: dopo nove anni,dall’epoca dell’indimenticabile Libero Liberati, un pilota italiano torna a conquistare il massimo alloro.

Giacomo Agostini
Giacomo Agostini

 

       Il pilota della M.V., infatti, ha battuto Hailwood ed ha coronato in un trionfale 44° Gran Premio delle Nazioni, ieri a Monza, un sogno accarezzato durante tutta una stagione fortunata, anche se densa di vicende alterne.   La battaglia è divampata subito furibonda ed il duello Agostini-Hailwood è bruciato in sette giri di corsa soltanto.          La Honda dell’inglese ha ceduto anzitempo, cosicchè la partita s’è risolta con una rapidità imprevedibile.   Grosso colpo di sfortuna per Hailwood, anche se in una contesa così esasperante sul piano tecnico, la sfortuna non può identificarsi con l’insufficiente preparazione d’un motore o la debolezza d’un suo organo.   Nè si può dire che Agostini sia stato facilitato oltre misura nella sua vittoriosa impresa, perchè per tutta la durata del confronto con la Honda di Hailwood ha sfoggiato una lieve, ma netta prevalenza.   Anzi, se consideriamo la cattiva partenza del pilota della M.V., che accusava 1″5 dall’inglese al primo giro, e se valutiamo esattamente 

Giacomo Agostini su uno dei tanti podi della sua prestigiosa carriera.
Giacomo Agostini su uno dei tanti podi della sua prestigiosa carriera.

 

la sua fulminea rimonta, tanto da passare nella scia di Hailwood al 3° e al 4° passaggio, per assumere il comando al quinto, dobbiamo concludere con un merito incontestabile per il nostro giovane campione.   Infatti, il secondo di margine accumulato da Agostini al quinto giro, sommato al secondo e mezzo perso all’inizio, danno l’esatta misura di una superiorità fin troppo netta, per un confronto che si annunciava tanto equilibrato. (…)   E’ possibile, dunque, esprimere quel giudizio conclusivo tanto atteso: il motociclismo italiano è tornato a vantare un autentico campione delle mezze litro, grazie anche all’eccellenza tecnica della tre cilindri realizzata dalla M.V.; ed il titolo mondiale giunge a premiare veramente il più meritevole tra i due contendenti.   Specie se mettiamo sul piano della bilancia anche il fatto che Agostini è giunto al vertice dopo due sole stagioni di esperienze sulle grosse cilindrate e che all’elevato rendimento globale della sua macchina gli è stata contrapposta una Honda visibilmente più potente.   Ottime premesse per la futura carriera del nostro ventitreenne campione, che ha bruciato le tappe della sua ascesa con una progressione davvero singolare nell’intera storia del motociclismo. 

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LA BEFFA DELLA COREA

Middlesbrouch, 19 luglio 1966: Corea N.-Italia 1-0 La rete di Pak Doo Ik
Middlesbrouch, 19 luglio 1966: Corea N.-Italia 1-0
La rete di Pak Doo Ik

Il 19 luglio sarà ricordato a lungo come una delle pagine più funeste, calcisticamente parlando, della storia del nostro Paese.

Partita alla vigilia tra le favorite del torneo, la Nazionale di calcio viene sorprendentemente eliminata al primo turno destando notevole scalpore nel mondo sportivo ed una profonda indignazione negli ambienti sportivi italiani.

Inclusa in un girone apparentemente facile, l’Italia debutta ai mondiali d’Inghilterra battendo il Cile 2 a 0 con reti di Mazzola e Barison, poi viene sconfitta di misura (0-1) dall’Urss.

L’incontro decisivo contro la Corea del Nord avrebbe dovuto essere una “passeggiata”, vista la pochezza tecnica degli avversari, definiti “ridolini” dall’osservatore azzurro Ferruccio Valcareggi, futuro Commissario Tecnico della Nazionale Italiana.

Edmondo Fabbri e Pak Doo Ik
Edmondo Fabbri e Pak Doo Ik

Sul campo, invece, è tutta un’altra musica!

I coreani umiliano la squadra di Fabbri battendola 1 a 0 con rete dello sconosciuto (fino ad allora!) Pak Doo Ik.

Le polemiche che seguono sono roventi ed a farne le spese è soprattutto l’allenatore Edmondo Fabbri, costretto a dimettersi.

Si chiude amaramente un ciclo ma quello successivo porterà riscatto con la conquista, due anni più tardi, del Campionato Europeo.

                                                 ASSURDO: L’ITALIA ELIMINATA DALLA COREA!

Non è un’attenuante l’infortunio a Bulgarelli

da “IL MATTINO” del 20 luglio 1966

Articolo di R.A.

ITALIA:        Albertosi, Landini, Facchetti, Guarneri, Janich, Fogli, Perani, Bulgarelli, Mazzola, Rivera,

Barison.

COREA N.    Li Chang Myung, Lim Zoong Sun, Shi Yung Kyoo, Ha Jung Won, Oh Yoon Kyung, Im Seung

Hwi, Bong Zin, Pak Doo Ik, Pak Seung Zin, Kim Bong Hwang, Yang Sung Kook.

Arbitro:          Schwinte (Francia)

Guardalinee: Adai (Irlanda) e Etaylor (Inghilterra)

Rete:               Al 42° del primo tempo Pak Doo Ik

                                                                     da uno dei nostri inviati

Middlesborough, 19 luglio.

Corea Del Nord - Italia 1-0; l'undici scelto da Edmondo Fabbri                                       L’ingresso in campo. L’undici scelto da Edmondo Fabbri

Torneremo in Italia rossi dalla vergogna.   Ora siamo qui, dinanzi alla macchina da scrivere, compagna fedele di mille avventure e disavventure, ancora incerti, ancora increduli su quanto abbiamo visto questa sera.   Come possiamo raccontarvi, senza sentirci accapponare la pelle, la sconfitta patita dagli azzurri contro la Corea del Nord, sissignori proprio dalla Corea – un “nessuno” in campo calcistico internazionale – che dovevamo imbottire di gol?   E’ accaduto ciò che nemmeno il più pessimista dei tifosi – e non solo italiano – avrebbe mai pronosticato.   L’Italia ha perso contro i simpatici, veloci, volenterosi, ma modestissimi coreani, senza che – udite, udite! – ci sia un appiglio sicuro, inequivocabile, al quale attaccarsi!   Cielo, che strazio!   Non basta l’infortunio a Bulgarelli per archiviare una sconfitta che ha posto il calcio italiano all’anno zero.   Non basta l’ostracismo dell’arbitro francese Schwinte a giustificare un avvenimento allucinante, che non ha

Un'incursione di Facchetti in area coreana
Un’incursione di Facchetti in area coreana

precedenti nella storia del nostro calcio.   Ieri, nella intervista della vigilia, Fabbri aveva detto:”Se non battiamo la Corea, dovremo darci alle boccette”.   Chi ci porge le boccette?   Chi regala a questi poveri “pellegrini” di Fabbri una scatola di birilli per dimenticare l’infausta giornata di Middlesbrough ?   E’ assurdo, è senza senso ciò che stiamo scrivendo.   Ma oggi tutto è stato assurdo, tutto non ha avuto senso, tutto è stato illogico.   Avevamo il compito più facile che ci potesse essere assegnato e non l’abbiamo saputo svolgere.   Iniziare qui, proprio stasera, un processo alla partita con la Corea, sarebbe troppo lungo, forse anche non riusciremmo a trovare quella calma, quella concentrazione, senza le quali rischieremmo di farci prendere la mano dall’ira, dall’indignazione.   Non resta, dunque, che scovare

Rivera in azione
Rivera in azione

brevemente i nostri appunti, soffermandoci qui e là.   Sul nostro taccuino è espressa innanzitutto la meraviglia per lo schieramento di Bulgarelli, di quel Bulgarelli che, infortunatosi contro il Cile, si era già esibito a ritmo ridotto contro la Russia.

“Che se li è portati a fare Juliano e Rizzo?”, questa è la frase che apre i nostri appunti.   Una frase storica, perchè in essa è la ragione del disastro di questa sera.   Fabbri ha sbagliato di grosso.   Evidentemente i grandi appuntamenti non gli sono congeniali.   Ha voluto forzare la mano su Bulgarelli e, scomparso lui dalla circolazione, tutto è crollato.   Il bolognese, pur senza eccellere aveva dimostrato nella prima mezzora di essere l’unico uomo d’ordine della compagine.   Uscito lui, per il riacutizzarsi del dolore al ginocchio, è calata la notte più profonda.   Poi Rivera.   Ha avuto qualche spunto, ma perchè non schierare Rizzo che giovane e desideroso com’era di giocare, avrebbe fatto scottare le mani del portiere coreano con i suoi tiri al fulmicotone ?   Rivera ha giocato si e no per un quarto d’ora, ed è stato il periodo migliore per la nostra squadra.   Poi ha tirato i remi in barca.   Anche la difesa ha fatto acqua.   S’è salvato il solo Landini.

Mischia in area coreana.
Mischia in area coreana.

Albertosi è apparso frastornato, Facchetti fuori fase e gli altri una pena!   Avanti il vuoto.   Mazzola e soprattutto Perani e Barison non si son visti che per gli errori, alcuni dei quali madornali.   Ed il riferimento è per Perani.   Ma abbiate pietà.   Voi eravate in casa, davanti al televisore e vi siete almeno potuti sfogare.   Noi qui zitti, con addosso gli sguardi ironici degli inglesi, con una cappa di ridicolo sulle spalle.   Ci siamo sentiti come dei pagliacci, e siccome non è questo il nostro mestiere, potete ben immaginarvi il disagio intimo che ci ha pervaso.   Passiamo alla cronaca, in fretta!!!   L’Italia parte di slancio, ma la sfuriata si spegne nel breve volgere di pochi minuti.   Al 2′ Perani impegna il portiere con una breve rovesciata; al 3′ su zaione Barison-Bulgarelli, Mazzola tocca a lato; al 4′ Perani butta di poco fuori un bel pallonetto.   A questo punto, quando si attende il gol azzurro, è la Corea a farsi minacciosa, mentre l’Italia cala improvvisamente di tono, riportandosi allo standard delle precedenti partite.   Il pubblico è tutto per i coreani, mentre le centinaia di nostri connazionali rimangono muti, increduli dinanzi al non-gioco azzurro.   Alle soglie dell’area di rigore italiana si verificano dei paurosi ingorghi ed i nostri avversari, più veloci, più sbrigativi, molto più pronti sull’anticipo, assumono e mantengono il comando delle operazioni.   Rivera è fermo come una statua, scavato in viso, con gli occhi sgranati.   Appena il pallone passa sui piedi degli azzurri, il ritmo del gioco rallenta immediatamente e la difesa coreana ha tutto il tempo di prendere posizione.   Si giochiccia, si tocchetta senza convinzione. Al 20′ Pak Bong tira forte, ma fuori, poi al 24′ su capovolgimento di fronte, occasionissima per Perani che, lanciato da Barison fila tutto solo verso Li Chan Myung, sparandogli il pallone proprio addosso.   Sulla controffensiva i coreani ci danno per due volte il brivido.   Siamo alla mezzora.   L’Italia colleziona angoli, ma di gol nemmeno l’ombra.   Al 34′ Bulgarelli, in uno scontro con un avversario si infortuna al ginocchio già toccato nella prima partita col Cile.   Lo portano fuori campo in barella.   Ed i coreani subito ne approfittano per lanciarsi con più lena nella nostra area.    Al 42′ Pak Doo Ik raccoglie al limite dell’area una corta respinta e fulmina Albertosi sull’angolino destro.   E’ uno schiaffo alla logica, un insulto al buon senso ma è la dura, crudele realtà.   La ripresa inizia con gli applausi per i coreani che ricominciano spavaldamente.   Gli azzurri sembrano più volenterosi e stringono d’assedio la rete degli avversari.   Al 4′ fila Barison che tira sul portiere.   La deviazione finisce sui piedi di Rivera che perde tempo e si fa soffiare la sfera da un difensore.   “Italia, Italia!” si urla sugli spalti.   E’ la forza della disperazione.   All’8′ un tiro di Barison termina fuori.   Ora Facchetti sposta frequentemente in avanti, lasciando peraltro il vuoto in difesa perchè i suoi recuperi non sono sempre pronti.   Al 9′ azione di Rivera che salta due avversari e tira, il portiere devia in angolo sul quale

Una fase di gioco al limite dell'area di rigore coreana.
Una fase di gioco al limite dell’area di rigore coreana.

si crea una mischia furiosa.   Facchetti svirgola e buonanotte.   Gli azzurri sono più incisivi, ma sempre piuttosto caotici.  Non esistono idee, lampi di gioco, affiatamento; ogni azione è un’avventura che finisce male.   Al 14′ angolo di Rivera e il colpo di testa di Fogli fa la barba al montante.   Rivera al 16′ si libera di tacco di un avversario ma viene trattenuto in piena area ed arriva in ritardo sul pallone ch’è recuperato dal portiere.   L’arbitro lascia correre.   E’ questo un buon momento per Rivera, purtroppo il suo risveglio è troppo breve.   I coreani aumentano il ritmo e  l’ltalia mostra subito la corda, Barison è frastornato, non indovina il tiro, è tardo nello scatto.   Al 25′ i coreani falliscono per un soffio il secondo gol per tutta una serie di papere dei nostri difensori.   All’incontro il solo Landini si batte come un leone, gli altri giocano molto al di sotto delle proprie possibilità.   Al 30′ proprio davanti a Li Chan Myung, Fogli e Barison cincischiano e l’occasione sfuma.   Si sta ormai profilando l’incredibile, l’assurda sconfitta.   I minuti corrono veloci e gli italiani non danno l’impressione di essere lì lì per segnare.   Ancora qualche battuta ed il gioco è fatto per la Corea.   L’Italia esce dai mondiali come un ladro.   Sbattuta fuori come l’ultima delle contendenti.   Proprio

La partita è finita. L'esultanza dei coreani è incontenibile.
La partita è finita. L’esultanza dei coreani è incontenibile.

   quello che avrebbe dovuto essere l’anno di grazia, abbiamo toccato il fondo.   Peggio di così non poteva andare.

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INTER MONDIALE

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Dopo aver perso all’andata a Buenos Aires per 1 a 0 per una “papera” del portiere Sarti, l’Inter sconfigge a Milano l’Independiente per 2 a 0 con reti di Mazzola e Corso.

Nello spareggio, disputato a Madrid il 26 settembre 1964, la formazione nerazzurra riesce a piegare gli argentini solo nei tempi supplementari grazie ad una rete di Mariolino Corso.

Per la prima volta una squadra italiana conquista la prestigiosa Coppa Intercontinentale.

 

L’INTER  MONDIALE

(nei supplementari)

per la sua difesa e per un grande Corso

(che difende il pareggio e segna la rete del successo)

da “La Gazzetta Sportiva” del 27-9-1964

Articolo di Gualtiero Zanetti

 

Madrid. 26 settembre – L’Inter ha vinto il titolo mondiale per squadre di club risolvendo a suo favore in maniera clamorosa una partita che molte altre squadre avrebbero perduto nei tempi regolamentari, sotto i violenti attacchi di un’Independiente che si vedeva ormai il successo a portata di mano.

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indexContro uomini fisicamente stroncati per il grande lavoro svolto e forse anche perchè non sufficientemente preparati per un confronto di così alto impegno, dopo aver sinora condotto una stagione non eccessivamente impegnativa – Domenghini e Peirò – l’Inter ha tentato di andare in vantaggio all’inizio della ripresa, dopo un primo tempo monotono, ma subito è stata costretta dagli argentini a una difesa stretta con Sarti invitato a mostrarsi campione di classe mondiale.   Dalla metà della ripresa, a nostro parere, all’Inter rimaneva soltanto la possibilità di mirare al pareggio anche dopo i supplementari per poter vincere in modo, non certo glorioso, la competizione.   L’Independiente, al contrario, integra in tutti i reparti, attaccava a tutto spiano e la difesa dell’Inter allora cominciava a recitare la sua ingrata parte, con il suo Corso ormai a raccogliere palloni poco distanti dalla sua area per tentare di utilizzarli in avanti.   Suarez era divenuto stabilmente un terzino, giostrava accanto a Picchi, e quindi per quanto accadeva in avanti nulla poteva fare.    Qualsiasi altra squadra, ripetiamo, con il morale più fragile e senza la saldezza di elementi come Picchi o Facchetti o Guarneri o Malatrasi o Tagnin, sarebbe crollata anche perchè in preda all’alibi morale costituito dalla parziale indisponibilità di Peirò e di Domenghini.   Invece, sorprendentemente, quando il lento scorrere dei minuti stava per determinare il forcing dell’Independiente, una azione in contropiede dei nerazzurri  trovava gli argentini impreparati ad affrontare attaccanti ritenuti già domati e si concludeva con una rete spettacolare che soltanto Corso poteva segnare.   La grande, impagabile vittoria dell’Inter ha così due ammirevoli artefici: una fantastica difesa ed un perfetto calciatore (Corso).   Questo successo premia in tal modo l’organizzazione di una grande società, l’opera lenta ed acuta svolta dagli istruttori ed i sacrifici ai quali si sono disciplinatamente sottoposti tutti i giocatori, senza alcuna eccezione, con spirito di corpo difficilmente registrabile. (…).

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La scomparsa del “Campionissimo”

indexindex     Alle 8,45 del 2 gennaio 1960 muore Fausto Coppi, il “Campionissimo”, così come era stato soprannominato per le sue innumerevoli vittorie; il ciclismo, ma più in generale lo sport mondiale, perdono un grande campione divenuto un mito per tutti.

Era nato a Castellania (AL) il 15 settembre 1919 da una famiglia povera.

                                                                                                                                        Bartali e Coppi

 

Timido e taciturno, ex garzone di salumerie, poco più che ventenne diventa gregario di Bartali e vince il suo primo Giro d’Italia: era il 1940.  Seguiranno tantissimi successi, intervallati da incidenti e pettegolezzi sulla sua vita sentimentale.

Le sue fughe solitarie, la rivalità con Bartali, le vittorie in tutte le corse più importanti, sia a tappe che in linea, le sue straordinarie capacità di corridore completo, scalatore, cronometrista, ecc. lo resero popolare in tutto il mondo e riempirono per quasi un ventennio le pagine dei giornali.

La sua morte getta l’Italia nella costernazione più profonda.

Era stato in Africa per una battuta di caccia, al rientro inizia a sentirsi male; i medici pensano si tratti di semplice influenza, in realtà il germe della malaria, contratta in Africa durante la guerra, si era insidiato in lui ed era improvvisamente scoppiato senza che alcuno potesse prevederlo e capirlo.

A nulla servono gli sforzi dei medici dell’Ospedale di Tortona: Coppi perde conoscenza e, tra la rassegnazione generale, la vita, quella vita vissuta in modo eccellente da sportivo e turbolento da uomo.

GLI SPORTIVI PIANGONO

(da “IL MATTINO” del 3 gennaio 1960 – Articolo di Gino PALUMBO)

     C’è un ragazzo fermo, qui sotto, nel mezzo dell’Angiporto Galleria.   Avrà quindici anni, poco più.   Ha un giornale tra le mani, il giornale che dà la notizia della morte di Fausto Coppi.    Lo sguardo è velato dalle lacrime: gli occhi sono fissi sul volto del campione disteso sul letto.   Nell’Angiporto il traffico è caotico, intensissimo: è l’ora in cui escono i furgoni con le edizioni serali.   Ma il ragazzo è immobile, lì nel mezzo: i motociclisti lo sfiorano, c’è chi suona il clackson, chi urla.   A fatica qualcuno, prendendolo sotto il braccio, lo spinge fino al marciapiede.   Lui piange.   Tanti ragazzi italiani piangono.   Fausto Coppi apparteneva a loro, era il loro idolo, era l’atleta che aveva acceso la loro fantasia, era l’uomo che nell’epoca più intensa del progresso – epoca spietata, senza miti – aveva creato la leggenda dell’uomo solo che vince la tempesta e la montagna.   Intorno, i “grandi” parlano di un altro Coppi.   Il Coppi della cronaca.   Il Coppi della vita di

imagesogni giorno.   Il Coppi senza bicicletta.   Loro, i ragazzi, non capiscono: il Coppi senza bicicletta non lo conoscevano, nè l’avrebbero concepito.   I “grandi”, seppur commossi, per la sua lunga catena di sventure, frugano, con curiosità morbosa, nell’intimità della sua vita: vogliono sapere se al capezzale del campione morente le due donne che l’amarono s’incontrarono o si sfuggirono; vogliono sapere chi seguirà il feretro, se la moglie o la compagna; vogliono sapere se ha fatto testamento, a chi apparterranno i suoi milioni…    I ragazzi non sanno chi sia la ” dama bianca”, i ragazzi ignorano che Marina è figlia legittima, e Fausto invece non lo è, i ragazzi non sanno che lo sguardo del campione era triste  e spaurito, quasi presago delle sue amarezze e delle sue sfortune, i ragazzi non sanno che Coppi era un timido travolto dalle vicende della vita.   Per loro, i ragazzi, Coppi era il campionissimo, l’invitto, il più forte di tutti, l’uomo che non poteva perdere, il solo atleta al mondo capace di imporsi sui tornanti pietrosi delle montagne e sugli anelli levigati delle piste, il solo che in cinquanta anni di ciclismo aveva vinto nello stesso anno, per due volte, le due prove più massacranti, il Giro d’Italia e il Giro di Francia…   Questo è, per i ragazzi, il Coppi che è morto.   E se piangendo ne parlano, è per chiedersi se è vero che nessun altro ciclista al mondo d’ogni tempo, può stare a petto con lui, nè tra gli italiani, nè tra gliimages

stranieri; e se è vero che solo Binda aveva uno stile potente ed elegante come il suo.   E stupiscono apprendendo che il segreto della sua classe era nelle capacità miracolose dei suoi polmoni e nella conformazione del suo cuore: si chiedono quanto debba essersi logorato quel cuore se non gli riuscì di resistere all’ultimo assalto della sua ostinata sfortuna.   Questo è, per i ragazzi, il Coppi che è morto.    Il Coppi che debellò Bartali dopo lunga ed appassionante rivalità, il Coppi che a ventuno anni vinse  il suo primo Giro, il Coppi di due Tour e cinque Giri d’Italia, il Coppi campione   del mondo a Lugano, il Coppi che conquistò l’amore della Francia e dei Francesi,

terra e popolo di campioni del ciclismo, trovandosi la sua seconda Patria.    Questo è, per i ragazzi, il Coppi che è morto.   Il Coppi dell’Agerola, nel giorno in cui staccò tutti sull’ultima rampa e si gettò a corsa folle verso Gragnano, dando alla muta degli inseguitori – tutti di eccelsa classe, i Magni e gli Astrua, i Monti e i Moser – l’umiliazione di un sempre più cocente distacco.   Il Coppi che per primo al mondo, in pista, sfiorò i 46 all’ora.   Il Coppi della Sanremo, il Coppi delle estenuanti fughe in splendida solitudine  verso il trionfo sulle alte vette innevate.   Questo è, per i ragazzi, il Coppi che è morto.   Il Coppi dominatore, invincibile, l’uomo che dieci volte pareva finito e sempre risorse, l’atleta che ancora oggi, a quarant’anni, gli organizzatori si contendevano per appagare la folla, insaziabili nel’applaudirlo.    Questo è il Coppi che noi sportivi piangiamo; questo è il Coppi che l’accanirsi della sfortuna ha strappato alla vita.   Ci si chiedeva perchè corresse ancora.   Aveva quarant’anni, era ricco, ogni corsa gli costava sacrificio.   Serse, il fratello, era morto correndo.   Lui era finito in ospedale dieci volte.   Affermavano che amasse a dismisura il denaro.   Invece correva perchè solo in bicicletta si sentiva forte, solo in bicicletta poteva ancora sperare di vincere, giù dalla bicicletta lui si difendeva.   Giù dalla bicicletta c’era la vita, con le sue amarezze, con il suo turbinìo, con i suoi sconvolgimenti; giù dalla bicicletta c’era la Occhini e c’era la Marina, c’era la moglie e c’era il piccolo Fausto, c’era la carta da bollo, c’erano gli avvocati, giù dalla bicicletta c’erano i suoi errori, c’era l’uomo con le sue debolezze.   Ma in bicicletta lui era il Campionissimo; ed è ricordandolo così, in bicicletta, che gli uomini di sport ed i ragazzi oggi lo piangono.   Addio, Fausto, campione eccelso, uomo buono e timido, vittorioso nello sport, sconfitto nella vita.   Addio!

               

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pagine-di-sportRivivere attraverso i giornali dell’epoca avvenimenti sportivi che hanno particolarmente impressionato il pubblico, suscita sempre una profonda emozione.

Fatti, personaggi, commenti e quant’altro assumono a distanza di tempo un sapore che sovente non collima con il contenuto dell’articolo suggerito e pubblicato.

In ciò sta il bello della lettura…