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DEBACLE DEL BENEVENTO (1-3), FOGGIA CORSARO

Benevento-Foggia 1-3
La rete di Coda non è bastata ad evitare la sconfitta

Sembrava tutto facile per il Benevento che era passato in vantaggio dopo appena 7′ di gioco con Coda che di testa aveva corretto in rete un bel cross di Ricci.
Invece, col passare dei minuti ci si accorgeva che i “satanelli”  non erano venuti al “Vigorito” per gettare subito la spugna.
Il Foggia, infatti,  reagiva con compostezza anche se perveniva al pareggio solo su calcio di punizione di Kragl che, complice il portiere Puggioni, insaccava dal limite.
I giallorossi non brillavano come sempre ed erano pochi i pericoli verso la porta avversaria.
Nel secondo tempo erano gli ospiti a farsi più intraprendenti ed a portarsi subito sull’1 a 2.  Già al 3′ l’ex Camporese approfittava di una mancata uscita di Puggioni e beffava la difesa di testa: stavolta, però, il difensore del Foggia non imitava Falco ma esultava, eccome, davanti al settore dei tifosi pugliesi.
Il Benevento sembrava accusare il colpo,  però si spingeva generosamente in avanti. Bucchi provava ad inserire Asencio al posto di Ricci ma proprio nel momento di maggior pressione degli “stregoni” il Foggia assestava il “colpo di grazia”: Viola perdeva un clamoroso pallone a centrocampo permettendo il veloce contropiede dei rossoneri,  Deli  serviva Galano che infilava con freddezza.
A mezzora dal termine ed in svantaggio di due reti l’allenatore dei padroni di casa sperava di ripetere la rimonta effettuata con il Lecce e faceva entrare Buonaiuto al posto di Nocerino e, dieci minuti più tardi, Insigne per Improta per assicurare una maggiore spinta offensiva.
Gli attacchi del Benevento, però, venivano rintuzzati bene dall’attenta difesa del Foggia e solo nel finale gli uomini di Bucchi sfioravano la rete con un colpo di testa di Coda che finiva sulla traversa e, nei minuti di recupero, con un’incursione di Letizia, forse il migliore dei suoi, che veniva fermato in piena area di rigore grazie ad una spinta di un difensore che il direttore di gara riteneva regolare.
Troppo poco per una squadra dalla quale ci si aspettava certamente molto di più anche in considerazione del fatto che il Verona aveva perso prospettando l’ipotesi di un aggancio in vetta alla classifica. Peccato!  Ma non bisogna abbattersi, il campionato è lungo, c’è tempo per rifarsi.
Il Tabellino
Benevento – Foggia  1-3 (1-1)
FORMAZIONI: Benevento – 
Puggioni, Maggio, Letizia, Nocerino (dal 66′ Buonaiuto), Volta, Costa, Ricci (dal 56′ Asencio), Bandinelli, Coda, Viola, Improta (dal 77′ Insigne).  All. Bucchi.
Foggia – Bizzarri, Loiacono, Camporese, Martinelli, Zambelli, Busellato (dal 56′ Agnelli), Carraro, Deli, Kragl (dal 62′ Ranieri), Galano (dall’89’ Chiaretti), Mazzeo.  All. Grassadonia.
Arbitro: Ros di Pordenone
Reti: Coda (7′), Kragl (24′), Camporese (48′), Galano (59′)
Note: Ammoniti Volta, Bandinelli, Busellato, Kragl, Maggio, Ranieri, Galano.

 

 

 

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LA CARTA DI PIRI REIS

Dal Blog “Tanogabo.com” leggiamo e pubblichiamo:
La strana storia della carta è cominciata nel 1929 a Istanbul, che allora si chiamava Costantinopoli, quando venne ritrovata tracciata su pergamena.
Nel 1520 l’ammiraglio turco Muhiddin Piri Reis (1470-1554) compilava l’atlante Bahriyye, destinato ai navigatori.  Le carte nautiche di questo atlante, corredate da note esplicative e redatte su pelle di capriolo, furono più tardi scoperte dallo studioso Halil Edhem, direttore dei musei nazionali, il 9 novembre del 1929 nel palazzo di Topkapi, ad Istanbul.
Grazie alle sue attente ricerche, Edhem trovò citata l’origine delle carte che componevano l’atlante

Piri Reis

Bahriyye negli stessi scritti lasciati dall’ammiraglio Piri Reis; ebbene, narra questi che nel 1501, durante una battaglia navale contro gli spagnoli. un ufficiale turco di nome Kemal catturò un prigioniero che disse di aver preso parte ai tre storici viaggi di Cristoforo Colombo, e che possedeva una serie di carte nautiche davvero eccezionali.  Sarebbe stato proprio grazie all’aiuto di quelle carte nautiche così precise che il grande navigatore genovese individuò la meta finale del suo viaggio.
La carta era datata nel mese di Nuharrem nell’anno 919 dopo il profeta: nel 1513 dell’era cristiana. La carta era firmata da Piri Ibn Haji Memmed, nome completo dell’Ammiraglio Piri Reis.

Questa carta attirò l’attenzione di un primo ricercatore americano, Arlington Mallery.    Egli dimostrò, per mezzo di calcoli, confermati da successivi controlli, che la carta aveva richiesto conoscenze molto

Cristoforo Colombo

progredite di trigonometria sferica, che risaliva ad un’epoca antichissima, un’epoca in cui il ghiaccio dell’Antartico non ricopriva ancora la zona della Terra Regina Maud (Antartide).

Sulla carta in questione si trovano rappresentati in particolare il Rio delle Amazzoni, il Golfo del Venezuela, l’America Meridionale, da Baya Blanca al Capo Horn, ed infine, come abbiamo detto l’Antartide, informazioni che nessuno poteva possedere a quei tempi.

Il ricercatore americano Arlington Mallery

Il Prof. Charles H. Hapgood del Keene State College, New Hampshire, Stati Uniti assegnò alla carta di Piri Reis e ad altre carte analoghe il nome di “carte degli antichi re del mare”.

Charles H. Hapgood

Nella vita dell’Ammiraglio Cristoforo Colombo, scritta da suo figlio Ferdinando si legge che “(Colombo) Raccoglieva accuratamente tutte le indicazioni che marinai o altri potevano fornirgli.  E le seppe sfruttare così bene, che in lui maturò l’incrollabile convinzione di poter scoprire nuove terre a ovest delle isole Canarie”.   Inoltre, la distanza tra l’America del Sud e l’Africa vi è indicata con precisione sorprendente.
Il bottino rappresentato dalle misteriose carte disegnate da Colombo finì nelle mani di Piri Reis il quale, sulla base delle voci che correvano a quei tempi, racconta nei suoi scritti che “Cristoforo Colombo, nel corso delle sue ricerche, trovò un libro risalente all’epoca di Alessandro Magno e ne rimase così impressionato che, dopo averlo letto, partì alla scoperta delle Antille con le navi ottenute dal governo spagnolo”.  Qualcuno ha tracciato questa carta in un passato molto remoto, ed a noi sono pervenute delle copie come la Piri Reis o come quella di Oriontio Fineo, del 1531.   Su quest’ultima, le dimensioni del continente antartico corrispondono perfettamente a quelle riportate nelle più precise carte moderne.   Segnaliamo, infine, che un’altra carta turca del 1559, quella attribuita a Hadij Ahmed, ci mostra a sua volta una terra sconosciuta che forma un ponte tra la Siberia e l’Alaska attraverso lo stretto di Bering.   Questo passaggio terrestre svelerebbe molti misteri sulle migrazioni del Paleolitico; ma essendo scomparso certamente quasi 30.000 anni fa non si riesce a capire in che modo una civiltà terrestre, conosciuta o ignota, avesse potuto sapere della sua esistenza.

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L’INFLUSSO DELLA COSCIENZA SUL CONCETTO DI TEMPO – Capitolo 4 –

IL TEMPO NELLA LETTERATURA
Il dramma dell’uomo in Pirandello.
La realtà nella quale viviamo è disordinata e l’azione umana è dedita ad una ricerca affannosa di ristabilimento dell’ordine, per sottrarla al caos ed adattarla alle sue esigenze.
Lo sforzo dell’umanità avviene attraverso varie forme, una di queste è il tempo che, però, viene inteso in modo fallace ed inconsistente.
Solo la nozione di durata e tempo soggettivo, scandito, cioè, dalla coscienza di ogni singolo individuo, è vero perchè la durata implica necessariamente un moto continuo, con salti, accelerazioni e decelerazioni dovuti alle peculiarità degli esseri viventi.
E’ questo il senso del pensiero di Luigi Pirandello che nella seconda parte della sua opera, “L’umorismo”, afferma che “…la vita è un flusso continuo che noi cerchiamo di arrestare, di fissare in forme stabili e determinate, dentro e fuori di noi. Le forme in cui cerchiamo di arrestare, di fissare in noi questo flusso continuo, sono i concetti, sono gli ideali a cui vorremmo serbarci coerenti, tutte le finzioni che creiamo, le condizioni, lo stato in cui tendiamo stabilirci.  Ma dentro noi stessi…il flusso continua, indistinto, sotto gli argini, oltre i limiti che noi imponiamo ed il flusso della vita è in tutti…”.

Da tale enunciazione nasce il dramma dell’uomo, che cerca invano di catturare il flusso in forme fisse e quindi inadeguate, ma più tenta di produrre forme diverse e più si aliena; quanto più si circonda di forme fittizie, tanto più si allontana dalla realtà.
In un’altra opera, “Il fu Mattia Pascal”, Pirandello mostra come il tempo non abbia uno svolgimento diacronico ma si dilata e si restringe secondo i ritmi della coscienza.
Nella narrazione i fatti non seguono lo stesso ordine con cui si sono verificati ma vi sono spostamenti all’indietro ed in avanti, restrospezioni ed anticipazioni: il romanzo inizia a vicenda conclusa perchè l’Autore vuole mettere in evidenza la distanza che separa il tempo dell’annunciazione dal tempo della storia.  In questo modo, il passato non perde importanza perchè ormai logoro e dissoluto ma, al contrario, viene valorizzato perchè, a dirla con Hauser, “…noi non solo siamo la somma dei singoli momenti della nostra vita, ma il prodotto dei nuovi aspetti che essi acquistano ad ogni nuovo momento (…). Non diventiamo più poveri per il tempo passato e perduto; solo esso anzi dà sostanza alla nostra vita…”.
Ritorna alla mente l’assunto di Bergson  sulla non scomponibilità del tempo e sulla inconsistenza del presente che, non appena lo percepiamo, è già passato. “…Noi non percepiamo praticamente che il passato dal momento che il puro presente è l’inafferrabile progresso del passato che fa presa sul sicuro…”.
Il romanzo “nuovo” di Italo Svevo.
Questa disarticolazione dell’ordine cronologico nel romanzo è presente anche in un altro autore, Italo Svevo, che ne “La coscienza di Zeno” sottopone il tempo a un trattamento nuovo rispetto all’ordinaria successione cronologico-causale, tipica del romanzo ottocentesco.
Il libro è autobiografico e narra di un ricco commerciante triestino che, giunto alla soglia dei sessant’anni, si rivolge indietro nel passato e fà una disamina della sua vita.
Ripercorre con la memoria gli ultimi 25 anni della sua esistenza, densa di eventi importanti: il matrimonio con Augusta, l’attività nella ditta del cognato Guido, il suicidio di quest’ultimo, la sua condizione sotto la tutela di un amministratore.

Italo Svevo

Nel romanzo vi è un continuo passaggio tra presente e passato, il narratore legge e sente il presente, filtrandolo attraverso il passato in una frequente contaminazione.
Nel capitolo relativo alla morte del padre si trovano già annunciati elementi che riguardano il matrimonio; la tecnica dell’anticipazione viene adottata dal romanziere per preparare il lettore ad una scena futura, che avrà luogo quando apparirà un nuovo personaggio.  E’ il caso di Guido, ma non solo; nel capitolo del matrimonio di Zeno viene inserita come anticipazione la digressione sulla morte del suocero.
Proprio come nella filosofia di Bergson, il tempo diviene una dimensione puramente legata al soggetto, per cui vengono alterati i rapporti tra la durata oggettiva degli eventi e la durata della narrazione.
I fatti sono accelerati o decelerati a seconda del valore qualitativo che attribuisce loro la coscienza.
Un avvenimento piccolissimo o banale, filtrato attraverso tutto ciò che passa nella coscienza degli individui in ogni istante, è in grado di dare vita a ricordi e ad assembramenti din idee che possono protrarsi per svariate pagine.
Il monologo interiore di Virginia Woolf.
Come Svevo, e proseguendo la via aperta da Henry James e Marcel Proust, anche la scrittrice londinese Virginia Woolf cerca di tradurre nella scrittura la fugacità delle impressioni, di dissolvere le forme tradizionali del racconto nel flusso di coscienza.

Virginia Woolf

Considerata l’antesignana del femminismo per il suo impegno attivo nella lotta per la parità di diritti fra i due sessi, Virginia Woolf si contraddistingue per il suo stile letterario basato su una tecnica innovativa rispetto a quella tradizionale.
La Woolf, infatti, eliminando la forma comune di dialogo diretto, si affida al monologo interiore del soggetto preso in quetione e, con un linguaggio particolarmente ricercato e raffinato, si serve di metafore e similitudini per esprimere il flusso di coscienza.
Nella sua narrazione non c’è una cronologia ben precisa perchè la scrittrice rappresenta lo scorrere del tempo in poche ore, giorni od anni ricorrendo a pensieri e ricordi suscitati dall’ambiente circostante.
Il tempo non è visto come uno scorrere perenne ma come una serie di momenti staccati l’uno dall’altro e successivamente riuniti per associazione di idee e per immaginazione.
Il vortice dei pensieri e delle emozioni dei personaggi descritti crea, attraverso la tecnica del monologo interiore, una commistione tra passato, presente e futuro sconvolgendo l’ordine cronologico che era stato alla base del romanzo tradizionale.
In tal modo, il narratore scompare dal romanzo permettendo al lettore di entrare nella psicologia del soggetto e di scovarne i lati razionali e irrazionali.
La bellezza senza tempo di Keats.
Una concezione originale del tempo, rientrante comunque in quella più complessiva di “tempo soggettivo”, è quella descritta nelle sue poesie dal poeta inglese John Keats.
Secondo Keats, la poesia rappresenta un’espressione del concetto di “Negative Capability”, caro al Poeta, secondo cui l’arte e la bellezza si manifestano anche e soprattutto attraverso ciò che è vago e misterioso, segreto e non svelato.
In un suo famoso componimento, “Ode su un’urna greca”, Keats esalta la bellezza senza tempo di un

John Keats

manufatto artistico dell’antica Grecia descrivendo le figure misteriose e sconosciute che ornano l’urna che lasciano al lettore l’immaginazione dei gesti e delle azioni che compiono sulle scene rappresentate.

Urna greca

Nella seconda strofa, tra le più suggestive, il poeta si rivolge all’ipotetico protagonista suonatore affermando che le melodie “inascoltate” sono ancora più dolci di quelle reali perchè non sono toccate dal tempo e l’immaginazione le rimanda alla sfera irrazionale.  Ed il sogno irrealizzato per Keats è perfetto perchè rappresenta un desiderio che può ancora compiersi: il reale spezza questo desiderio con un anegazione o con la sua realizzazione.
Il tempo di Joyce.
Il tempo pubblico, che Proust ritiene superficiale ed inutile, è ritenuto da James Joyce arbitrario ed inadatto a regolare la vita dell’uomo.
L’Autore porta nella sua opera, “Ulisse”, un più duttile senso del tempo; infatti, comprime il viaggio di Odisseo, che dura venti anni nel poema omerico, nelle sedici ore dell’esperienza unica di Mr. Bloom.
Joyce riesce a rappresentare l’eterogeneità del tempo mediante un’esposizione frammentata, alternando alla narrazione commenti sull’esperienza temporale di Bloom in relazione al tempo pubblico così come la tecnica del monologo interiore diretto serve a riprodurre la concezione di Bergson per cui la realtà è un continuo flusso, un perenne divenire.
Il “flusso di coscienza”, entrato nell’uso letterario dopo il 1890, è utilizzato in tutto il romanzo ma domina ininterrottamente quando Molly Bloom illanguidisce nel sonno; in questo episodio Joyce raggiunge la più completa dilatazione del tempo nella sperimentazione della coscienza della donna.
E’ l’unico episodio in cui non è designata alcuna ora particolare e si usa invece il simbolo dell’eternità e dell’infinito: la rigidità del tempo convenzionale, le sue nette partizioni sono inutilizzabili per rendere l’attività della mente; irrilevante è il quando e il dove Molly ha i suoi pensieri che sono un’infinita

James Joyce

riscrittura della sua vita, in perenne cambiamento col passare di ogni riflessione.
CONSIDERAZIONI FINALI
In questo rapido excursus del concetto di tempo attraverso il parere di alcuni tra i più autorevoli esponenti del mondo scientifico, filosofico, artistico e letterario, si è cercato di dimostrare che non sempre il tempo cronologico oggettivo, matematicamente e strumentalmente misurabile e quantificabile, coincide con il tempo interiore e spirituale a causa dell’influenza esercitata dal cosidetto “flusso di coscienza”.
Ma indipendentemente dalle diverse ed opposte visioni che si possono riscontrare una cosa si può affermare con certezza: il tempo è il principio essenziale che dà senso e valore alla nostra esistenza.
Cosa succederebbe, infatti, se per svariati motivi non avessimo più percezione dello scorrere del tempo ?  Se non ci fosse più, per esempio, l’alternarsi del giorno e della notte, della luce e del buio, se non ci fossero orologi, calendari, orari, ecc. ?
Non ci sarebbe alcun progresso, alcuna traccia di civiltà, addirittura alcun segno della nostra stessa presenza sulla terra.
Il genere umano è consapevole di essere soggetto ad un limite di tempo, anche se nessuno accetta la morte.
Tale stato incide sul nostro modo di rapportarci ai valori inducendoci alla domanda:”A che serve comportarci in un certo modo quando sappiamo che ogni cosa dovrà finire?”.
Se è vero che esiste una sorta di finalismo per quanto concerne l’universo, allora il finalismo dovrà esistere anche per il fluire del tempo.
C’è chi dice che dopo la morte non esiste che il nulla e chi pone, invece, in un’esistenza ultraterrena la possibilitò di vivere un vero significato della vita: l’argomento è superiore alla nostra portata e ci porterebbe su un discorso troppo lungo.
Ci limitiamo a rispondere alla domanda sopra citata in questo modo:”E’ giusto comportarci secondo certi valori perchè ciò rende migliore la Vita…”.

 

 

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L’INFLUSSO DELLA COSCIENZA SUL CONCETTO DI TEMPO – Capitolo 3 –

LA VARIABILE TEMPORALE NELL’ARTE.   Il cubismo.
La concezione del tempo come durata, elaborata da Henry Bergson, era destinata ad influire moltissimo nelle arti figurative.
La corrente artistica che forse più di ogni altra risentiva di tale influsso era il Cubismo che, rappresentando contemporaneamente momenti diversi di una medesima scena, introduceva per la prima volta in arte la variabile temporale.
La “ratio” ispiratrice del movimento era la visione dell’inutilità della riproduzione della realtà così come appariva ai nostri sensi perchè la coscienza umana rielaborava l’immagine visiva dell’oggetto conosciuto. “…ciò che vediamo è solo un dato di partenza che verrà trasformato, più volte nel tempo, dalla nostra coscienza…”.
Il più celebre esponente del Cubismo, Pablo Picasso, in un suo famoso dipinto, “Guernica”, manifestava proprio l’effetto devastante prodotto sulla sua coscienza dai tristi avvenimenti del 1937, l’aspetto che più lo interessava rispetto alla finalità di descrivere un fatto storico.
Com’è noto, l’artista spagnolo era rimasto emotivamente molto colpito dalla brutalità dell’evento bellico che aveva portato alla distruzione dell’omonima città durante la Guerra Civile Spagnola e in “Guernica” esprimeva la sua contrarietà ai regimi totalitari che si diffondevano in Europa nel corso del XX secolo.

Il dipinto “Guernica” di Pablo Picasso.

Alcuni particolari dell’opera facevano intendere i sentimenti di Picasso di protesta contro la violenza, la distruzione, la guerra in generale.

Pablo Picasso

Nella parte sinistra del quadro è raffigurato un toro che rappresenta il Minotauro, simbolo di bestialità.
Al centro, la lampada ad olio in mano ad una donna che scende le scale indica la ragione che non comprende la distruzione mentre la pace violata è rappresentata dalla colomba a sinistra che cade a terra in un moto di strazio.
Vicino, un cavallo agonizzante simboleggia il popolo spagnolo degenerato.
L’entità del dolore interiore accusato dal pittore è rappresentato mirabilmente dall’immagine, sulla sinistra, di una madre che grida la sua disperazione mentre stringe il figlio tra le braccia e di una seconda figura, sulla destra, che alza le braccia al cielo.
In basso, è raffigurato un corpo senza vita con una stigmate sulla mano sinistra a simboleggiare l’innocenza verso la crudeltà nazifascista (le truppe del generale Franco erano appoggiate dai tedeschi) ed una spada spezzata nella mano destra con un fiore che fa capolino come a dare speranza per un futuro migliore.
Le deformazioni dei corpi, unitamente alle lingue aguzze e ad altre forme contorte, delineano l’alto senso drammatico dell’opera, realizzata su un quadro (olio su tela larga 783 cm e alta 351 cm) di grandi dimensioni quasi a rappresentare una sorta di manifesto rivelatore al mondo dell’ingiustizia e crudeltà di tutte le guerre.
La “Persistenza della memoria” di Salvador Dalì.
Un altro grande artista, Salvador Dalì, conveniva sulla inesattezza delle ferree regole così come venivano enucleate dalla scienza e, in particolare, dalla meccanica.
In uno dei suoi dipinti più famosi, “La persistenza della memoria”, conosciuto anche come “Gli orologi molli”, il pittore surrealista, nel tentativo, perfettamente riuscito, di cancellare tutte le regole fisse

Salvador Dalì


che scandiscono la vita di tutti i giorni, come le regole del tempo scandite dall’orologio, simbolo delle convinzioni scientifiche e razionalistiche, mette in crisi il tempo meccanico con l’idea della memoria umana che del tempo ha una percezione ben diversa.

“Gli orologi molli” di Dalì

Osservando quest’opera ci si rende subito conto dell’impianto composito fortemente asimmetrico, con elementi distribuiti disorganicamente nello spazio aperto; l’intenzione dell’Autore è quella di dimostrare l’elasticità del tempo della memoria che segue parametri assolutamente personali, veloce quando si è felici, lento e pesante quando si è tristi.
Gli orologi appaiono dipinti con una forma poco definita, come fossero fluidi, adagiati sul paesaggio di Port Lligad e la loro deformazione nasce dall’idea di un sogno, con i ricordi che emergono dall’inconscio.
Anche i colori conferiscono all’opera la chiave della pittura di Dalì: essi sono accostati in maniera bizzarra, caldi e freddi, chiari e scuri, con una luce frontale che genera ombre profonde sulla superficie degli oggetti.
(Nel prossimo Capitolo: IL TEMPO NELLA LETTERATURA)

 

 

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L’INFLUSSO DELLA COSCIENZA SUL CONCETTO DI TEMPO – Capitolo 2 –

SCIENZA E FILOSOFIA: UN BINOMIO INDISSOLUBILE
Eraclito, il filosofo del “divenire”.  Il tempo è sempre stato un argomento centrale del pensiero filosofico e dell’indagine scientifica suscitando, nel corso dei secoli, interessi e giudizi spesso contrastanti.
Nell’antichità, il concetto di tempo si risolveva in un continuo “divenire” ossia come un ordine cronologico di eventi che si ripetevano con l’alternanza del giorno e della notte, delle stagioni, dei secoli e così via.

Eraclito, il filosofo del “divenire”

L’interprete più autorevole di tale teoria era Eraclito di Efeso per il quale il mondo era un flusso perenne in cui “tutto scorre (panta rei), analogamente alla corrente di un fiume le cui acque non sono mai le stesse”.
Ogni cosa, insomma, per “il filosofo del divenire”, era soggetta al tempo ed alla trasformazione, facendo apparire statica ed immobile una realtà in continuo movimento.
Conseguenza inevitabile di tale asserzione era il principio che nulla era sacro, immortale o eternamente immutabile, neanche Dio !
Il pensiero di Eraclito ci è giunto frammentario, forse per questo motivo ancora oggi la sua “enigmaticità” solleva dispute importanti nella speculazione teoretica-metafisica occidentale.
Il concetto dell’anima in Pitagora e Platone. La visione di un divenire ciclico infinito ed inesauribile all’interno di una teoria ateo-materialistica quale era stata prospettata da Eraclito, presentava singolari affinità con un’altra di ispirazione mistico-spirituale riconducibile a due altri grandi filosofi a lui quasi contemporanei: Pitagora di Samo e Platone.
La loro dottrina sul versante della percezione del tempo, di origine orientale ed ispirata all’orfismo, era imperniata

Pitagora di Samo

sull’idea dell’immortalità dell’anima attraverso la “metempsicosi”.

Secondo tale tesi, dopo la morte fisica del corpo, l’anima trasmigrava per esplorare altri mondi (il mondo dell’iperuranio, secondo Platone), raccogliere idee  e valori e reincarnarsi in altri corpi di esseri viventi (anche in piante ed animali).
Per la qual cosa, in virtù del bene e del male compiuti nelle vite precedenti, l’anima si inseriva in uno stadio superiore o inferiore di vita spiegando, in tal modo, l’innatismo delle conoscenze ossia la ragione per cui esiste un livello diversificato di saggezza e di intelligenza tra gli esseri umani.

Platone

I protagonisti della “rivoluzione astronomica”: Copernico, Galilei, Newton.
Tralasciando, per motivi di spazio, gli innumerevoli altri pensatori dell’antichità che si sono cimentati sulla questione che ci occupa, in epoca moderna, a far data in particolare dal Rinascimento, con lo scossone provocato dalla cosiddetta “Rivoluzione astronomica” nel campo delle idee, si imponeva una concezione scientifico-naturalistica del tempo che trovava soprattutto in Galileo Galilei e Isaac Newton i suoi più validi esponenti.   Prima di loro, già Niccolò Copernico aveva messo in discussione non solo la massima autorità filosofico-scientifica del passato (Aristotele) ma anche la parola di Dio (la Bibbia).

Galileo Galilei

 

Galilei e Newton, però, andavano oltre con la discussione tra “tempo assoluto”, oggettivo cioè reale ed effettivo perchè misurabile con appositi strumenti, quali l’orologio, il pendolo, ecc. e “tempo relativo”, soggettivo cioè interiore e non misurabile con congegni di precisione matematica.

Niccolò Copernico
Isaac Newton

La fisica sperimentale tracciata da Galilei e Newton, con la conseguenziale concezione meccanicistico-materialistica del tempo, apriva un lungo percorso di studio tra autorevoli menti.
L’intuizione di Kant e la teoria della relatività di Einstein.

Il filosofo tedesco Immanuel Kant, nella sua celebre opera “Critica della ragion pura”, confutava sia la visione empiristica, che considerava spazio e tempo come nozioni tratte dall’esperienza, sia quella oggettivistica che li considerava  come entità a se stanti.
Per il filosofo di Konisberg il tempo rappresentava la maniera universale attraverso la quale si percepivano tutti gli oggetti.  Per cui, “…se non ogni cosa è nello spazio, ad esempio i sentimenti, ogni cosa è però nel tempo, in quanto tutti i fenomeni in generale ossia tutti gli oggetti dei sensi, cadono nel tempo…”.

Immanuel Kant


L’intuizione kantiana basata sulla stretta relazione di interdipendenza spazio-temporale, esposta in sede teoretico-metafisica, veniva riproposta e riformulata in sede scientifica da Albert Einstein attraverso la famosa teoria della relatività del tempo oggettivo in base alla quale l’ordine di successione enunciato da Kant non era nè unico nè assoluto.
Per Einstein, infatti, non esisteva un sistema di riferimento particolare per misurare il tempo in quanto esistevano infiniti punti o spazi dell’universo nei quali la scansione del tempo (reale e oggettivo) poteva essere calcolata in termini matematici diversi dalla realtà spazio-temporale terrestre.   Come a dire che il nostro anno solare, e cioè il tempo occorrente al nostro pianeta per orbitare attorno al sole, poteva corrispondere ad un tempo diverso, un’ora o un minuto, in un altro punto cosmico.

Albert Einstein

Tempo e coscienza: la visione di Bergson.  La visione cosiddetta scientifica del tempo veniva criticata da una corrente di pensiero, il cui capostipite era il filosofo francese Henry Bergson, la quale, partendo da una riflessione di Sant’Agostino,  identificava il tempo con la nozione di “coscienza” e di “soggettività”.
Nel suo “Saggio sui dati immediati della coscienza”, Bergson, equiparando il decorso del tempo vissuto con la durata, affermava che esso non era percepibile mediante l’intelligenza bensì mediante la memoria e la coscienza.
La scienza incorreva, secondo il filosofo francese, nell’errore di considerare il tempo “spazializzato”, cioè rappresentato come una serie successiva di istanti che secondo un ordine cronologico scorrevano nella progressione passato-presente-futuro come fossero dei punti su una linea.
Questa, però, era una falsa rappresentazione della realtà perchè, ad avviso di Bergson, il tempo doveva essere considerato un movimento perpetuo e non un susseguirsi di segmenti, opera dell’intelligenza.

Henry Bergson

L’atto intellettivo, infatti, presupponeva la spazialità prima ancora della temporalità perchè il pensare comportava concettualmente il distinguere e la distinzione, a sua volta, abbisognava della spazialità.
Gli istanti che si succedono sono differenti qualitativamente e non solo quantitativamente come affermava la scienza.
L’orologio, per esempio, diceva Bergson, era il simbolo della concezione scientifica del tempo: ogni secondo, ogni ora che passa, per la scienza ha lo stesso valore perchè per la scienza conta l’aspetto quantitativo.  Ci sono, invece, secondo Bergson, tempi diversi qualitativamente, quali l’attesa, il desiderio, il ricordo, eccetera, che ogni individuo percepisce in modo personale, interiore, diverso dagli altri individui e perciò il tempo della scienza poteva essere valido per i fenomeni fisici ma non anche per la vita interiore dell’uomo che è soggetto ad un tempo vissuto di natura differente da quello concepito dalla scienza.
Il tempo “spazializzato” della scienza trovava la propria ragion d’essere in virtù dei profondi mutamenti del “modus vivendi” del genere umano imposti dal progresso tecnologico e socio-culturale soprattutto a partire dall’inizio del Novecento.
Il telefono, l’urbanizzazione, lo sviluppo dell’economia, il sistema dei trasporti e, in particolare, delle ferrovie avevano reso necessario un metodo universale del tempo, finalizzato alla coordinazione della vita nel mondo intero.
Nel 1912 a Parigi, la Conferenza Internazionale sul Tempo si era svolta per rendere uniformi i segnali orari da trasmettere nel mondo; ciò rispondeva ad un’esigenza pratica estrinsecantesi nella necessità di ordine e stabilità.   In questo caso, nella visione del filosofo francese, ci si trovava di fronte ad un tempo astratto che imponeva la distinzione fra passato, presente e futuro con una progressione regolare e continua.   Nella durata, invece, o tempo vissuto, un minuto poteva essere più lungo di un’ora in ragione di un determinato fatto di coscienza inquadrato in una visione del tutto soggettiva.
La scienza, pertanto, non poteva arrogarsi la pretesa di disciplinare tutte le dimensioni della vita umana, e quindi anche il tempo, con il ferreo determinismo della matematica e della fisica.
La coscienza dell’uomo, al di là della fredda concezione scientifica dell’identità del tempo, presentava per Bergson ininterrottamente momenti che non erano mai identici perchè il momento successivo conteneva sempre, in più del precedente, il ricordo che quest’ultimo aveva lasciato di sè.
L’eterno ritorno di Nietzsche.  In opposizione a quella rettilinea di tipo cristiano-moderno, si andava sviluppando, intanto, un’altra visione ciclica del tempo che rifiutava la sua concezione lineare come successione di momenti in cui ognuno aveva senso solo in funzione degli altri, “…quasi che ogni attimo fosse un figlio che divora il padre (=il momento che lo precede), essendo destinato a sua volta ad essere divorato dal proprio figlio (=il momento che lo segue).
Questa nuova visione trovava in Nietzsche il suo grande sostenitore e veniva definita “dell’eterno ritorno” perchè secondo tale dottrina tutte le realtà e gli eventi del mondo erano destinati a ritornare identicamente infinite volte.
Pur configurandosi come una delle problematiche più complesse della critica nietzschiana, la tesi dell’eterno ritorno spiegava che il senso dell’essere non stava fuori dell’essere, ma nell’essere stesso e che, disporsi a vivere ogni attimo della vita come coincidenza di essere e senso significava partecipare ad un gioco creativo avente in se medesimo il proprio senso appagante.
Il concetto lineare del tempo presupponeva per Nietzsche la mancanza di felicità esistenziale perchè nessun momento vissuto aveva in esso una pienezza autosufficiente di significato; il concetto dell’eterno ritorno, al contrario, realizzava “la felicità del circolo” perchè permetteva di vivere come se tutto dovesse ritornare.
Ma non tutti gli uomini, secondo il filosofo di Rocken, erano capaci di decidere l’eterno ritorno: l’uomo dei suoi tempi soffriva la scissione tra senso ed esistenza e concepiva il tempo come una tensione angosciosa verso un compimento sempre di là da venire.  Solo un “oltre-uomo” poteva collocarsi nella prospettiva dell’eterno ritorno, accettare la vita rifiutando la morale tradizionale e operando una trasvalutazione di valori.
Con sfumature diverse, più tardi Martin Heidegger parlerà anche lui del tempo come una sorta di circolo in base al quale “…ciò che si prospetta in avvenire, in quanto possibilità e/o progettualità, è già stato, e a sua volta ciò che è già accaduto in passato è ciò che si prospetta in futuro: in tal modo, il cerchio si chiude e ricomincia, rinnovandosi e perpetuandosi nell’eternità…”.

Martin Heidegger

(Nel prossimo Capitolo: LA VARIABILE TEMPORALE NELL’ARTE)


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L’INFLUSSO DELLA COSCIENZA SUL CONCETTO DI TEMPO – Capitolo 1 –

UNA CATEGORIA CONCETTUALE RIDOTTA A STEREOTIPI E LUOGHI COMUNI.

Nonostante sia ormai familiare nei nostri discorsi e nel nostro vivere quotidiano, il concetto del tempo come durata riesce difficile da spiegare.
Una delle ragioni di questa difficoltà è rappresentata dai molteplici significati che la categoria assume, qualcuno caratterizzato da una rozza ovvietà e da un uso corrente che rasenta l’insensatezza.
Ci limitiamo ad alcuni esempi tipici di espressioni che prolificano nel linguaggio di tutti i giorni e che fanno parte del nostro abituale discorrere.
Ammazzare il tempo”.  L’espressione “Ammazzare il tempo” con la quale si vuol definire l’utilizzo malevolo del proprio tempo in occupazioni insulse o poco edificanti, in mancanza di interessi degni di considerazione, finisce con l’annichilire la stessa persona che “ammazza il tempo”, riducendola ad un essere depresso, ansioso, poco incline all’azione.
Subentra, insomma, l’accidia, uno dei “vizi capitali” additati in chiave negativa dalla tradizione giudaico-cristiana.
E non a caso, Dante Alighieri relega gli accidiosi in un girone della sua “Divina Commedia”.

Dante Alighieri.
Il “sommo Poeta” regela gli accidiosi in un girone della sua “Divina Commedia”.

E’ proprio con questo significato che va intesa la citata espressione e non nell’acczione di ozio, così come concepito dalla cultura classica greco-romana che, su ispirazione della migliore tradizione epicurea, costituiva fondamentalmente il “modus vivendi” del ricco padrone di schiavi, del patrizio romano, in una parola della persona agiata che non era costretto a lavorare per vivere ma coltivava
“l’otium” perchè aveva tutto il tempo a disposizione per dedicarsi alla bella vita e ad un’esistenza in occupazioni divertenti.
“Il tempo è denaro”. Un altro luogo comune è quello che recita:”Il tempo è denaro”, generalmente usato dai signori della finanza e dagli uomini d’affari che sfruttano il lavoro sociale delle classi meno abbienti mettendo in secondo piano il vero valore del tempo eistenziale che è quello dell’aspetto estetico-spirituale con le sue sfumature del piacere, della bellezza, della cultura, della felicità, suscettibili di generare stimoli, entusiasmo, voglia di vivere.
Non ci soffermiamo, ovviamente, sulle innumerevoli espressioni riguardanti il tempo atmosferico, del tipo “Che tempo fa oggi?”, “Non ci sono più le stagioni di una volta”, ecc., spesso oggetto di conversazioni banali che denotano l’incomunicabilità tipica dell’uomo moderno.

(Nel prossimo Capitolo:”SCIENZA E FILOSOFIA: UN BINOMIO INDISSOLUBILE”)


 

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IL CALENDARIO DELL’11^ GIORNATA

Ecco le partite relative all’undicesima giornata della Lega Pro- Girone C:

CASTELLI ROMANI – CATANZARO – Sabato 14 novembre h. 14,00
ANDRIA                   –  MELFI                  ”         ”         ”          ”   15,00
FOGGIA                   – MONOPOLI        ”          ”         ”          ”   20,30
PAGANESE              –  ISCHIA                 ”          ”         ”          ”        ”
AKRAGAS                –  CASERTANA –  Domenica 15 novembre h. 14,00
MARTINA FRANCA –  MATERA                 ”            ”          ”          ”   14,30
MESSINA                 – CATANIA                 ”            ”          ”          ”       ”
LECCE                      – COSENZA               ”            ”           ”          ”   15,00
BENEVENTO          – JUVE STABIA –  Lunedì 16 novembre h. 20,00images (34)

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Il Cammino del Benevento Senza categoria

ALLA RICERCA DEL BIS

Dopo la convincente vittoria sul Foggia il Benevento tenta il bis contro il Messina, ancora allo stadio “Vigorito”.
Mister Auteri, che non siederà in panchina per scontare 1 turno di squalifica deciso dalla Federazione “…per comportamento gravemente scorretto verso tesserati della squadra avversaria al termine della gara..”,

L'allenatore del Benevento, Gaetano Auteri
L’allenatore del Benevento, Gaetano Auteri

ha preannunciato un corposo turn-over per consentire un idoneo riposo a qualcuno che ha giocato domenica.
Probabilmente, in campo dall’inizio o comunque nel corso della partita, ci saranno Di Molfetta, che ha scontato due giornate di squalifica, Padella, Troiani, Vitiello e Marano.   Assenti ancora gli infortunati Marotta e Mucciante nonchè lo squalificato Gori mentre sono in forse Campagnacci e Melara.
Ecco, comunque, la lista dei convocati: Calvaruso e Piscitelli (portieri); Bianco, Bonifazi, Lucioni, Padella, Pezzi, Porcaro, Som, Troiani (difensori); Ciciretti, Cruciani, De Falco, Del Pinto, Melara, Marano, Mazzarani, Vitiello (centrocampisti); Campagnacci, Cissè, Di Molfetta, Mazzeo (attaccanti).

L'allenatore del Messina, Arturo Di Napoli
L’allenatore del Messina, Arturo Di Napoli

 

Sul fronte opposto, il Messina,a differenza dei proclami  spavaldi della vigilia sbandierati dal Foggia, affronterà il Benevento con maggiore cautela:”…Vogliamo dare una continuità a quanto di buono fatto a Monopoli ma è chiaro che le difficoltà aumenteranno perchè affrontiamo una squadra costruita per vincere il campionato, una formazione di assoluto valore…”.
I “peloritani” non potranno contare sugli squalificati Parisi, Zanini e Burzigotti e sugli infortunati Gustavo e Baccolo mentre è incerta la presenza di Palumbo.    Sarà della partita, invece, Carmine Giorgione, classe ’91, centrocampista e capitano del Messina che è stato tra i migliori in campo a Monopoli, colpendo anche una traversa.    Giorgione è un sannita doc, nato a Benevento e sicuramente la sua sarà una gara vissuta con un’emozione particolare.
A dirigere l’incontro, con inizio alle ore 18,00, sarà Vito Mastrodonato, della sezione di Molfetta, coadiuvato dagli assistenti Antonello Mancino e Riccardo Fabbro, di Roma.
In programma, sempre domani, l’altro recupero Monopoli-Catania.

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Io, proprio io

Benvenuto“Non si mente mai tanto quando si parla di se stessi” (Paul Valery)

Ho preso in prestito quest’aforisma del poeta francese per iniziare la narrazione del mio percorso di vita perché, pur condividendolo parzialmente, mi sforzerò di riprodurre fedelmente i fatti più salienti della mia esistenza.  Anzi, dico di più: tutto quello che scrivo è la pura realtà.  Tutt’al più ometterò episodi insignificanti o che non avrò il pudore di esternare.

Quali le ragioni di questi frammenti di memoria?  Di preciso non lo so, forse non solo per semplice sfogo, come ritualmente si usa fare, ma anche per il desiderio inconscio di rendere gli altri partecipi di sentimenti e conflitti interiori quando avranno modo o voglia di leggere queste mie riflessioni che spazieranno in vari campi traendo lo spunto dai miei momenti di vita vissuta.

Lo scritto, si sa, è il più attendibile e fedele custode dei pensieri più che le parole perché, a dirla con Martin Luther King, “…Nella vita ogni tanto si verificano momenti di inesprimibile appagamento che non possono essere spiegati fino in fondo dai simboli che chiamiamo parole…”.