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Politica

TOP SANNIO – Quale ruolo per Benevento ? – Citta’ di servizi ? Di Cultura ? – “Ciccio” Romano negli anni ’80 guardava gia’ lontano –

Sono circa quarant’anni che e’ fermo il dibattito intorno al ruolo che la citta’ di Benevento dovrebbe ricoprire per restare al passo  con le altre realta’ meridionali e nazionali.
Verso la fine degli anni settanta e l’inizio degli ottanta, grazie all’insediamento universitario ed alla istituzione della Rassegna “Citta’ Spettacolo” era vivo il fermento intorno a temi importanti che interessavano non solo i cosiddetti “addetti ai lavori” (autorita’, istituzioni, enti locali, associazioni, ecc.) ma anche l’intero corpo sociale.
Allora, si era imposto il “filone” della Benevento citta’ di servizi da rilanciare per lo sviluppo di un territorio che da tempi immemorabili era entrato nel dimenticatoio.
Da piu’ parti si avvertiva l’esigenza di un indirizzo di incremento tecnologicamente aggiornato delle strutture dell’industria culturale mettendo in secondo ordine quello agricolo o produttivo in senso stretto.
Il sindaco Pietrantonio aveva avviato un processo di riflessione sul ruolo della citta’ insistendo sul tema culturale che, grazie al patrimonio storico e monumentale di Benevento, avrebbe potuto garantire uno sviluppo anche in termini economici, cosi’ com’era avvenuto in altre citta’, tra l’altro potenzialmente inferiori da questo punto di vista.
Sulla stessa falsariga marciavano Nico De Vincentiis, per il quale la nostra citta’ poteva costituire un polo di attrazione culturale in linea con l’ispirazione dei sostenitori della “citta’-spettacolo”, ed il Direttore del Museo del Sannio, Elio Galasso, che vedeva nel primato della cultura una fondamentale risorsa da sfruttare ed utilizzare economicamente.
L’avv. Francesco “Ciccio” Romano, da sempre punto di riferimento essenziale del mondo politico e culturale della sinistra locale, era intervenuto nel dibattito con tutto l’ardore e la passione, oltre che la competenza, che lo contraddistingueva, segnalando il limite del dibattito con una riflessione che andava oltre la superficiale visione dell’aspetto culturale per un approfondimento della questione, incentrato soprattutto sulla realta’ economica di Benevento.
In una importante pubblicazione dal titolo ” Benevento tra mito e realta’ “, in due volumetti, aveva coinvolto alcuni esponenti dell’ “intellighenzia” beneventana, e cioe’,  oltre ai gia’ citati Pietrantonio, De Vincentiis e Galasso, gli architetti Franco Bove, Angelo Bosco, Vincenzo Castracane, Pino Iadicicco, Pasquale Palmieri e poi ancora i professori Gianni Vergineo, Mario De Nicolais,  i giornalisti Rino Di Dio, Arnaldo De Longis e Nicola Russo, il dott. Renato Russo e poi ancora Gaetano Cantone, Lucio Colle, Mario Boscia, Michele Mazzone, Mario Razzano, Pietro De Paola, Antonio e Giovanni Romano, Giuseppe Bonetti, l’ing. Fabio Catalano, Giovanni Giordano, Domenico Petroccia, Alberto Bozzi. Una collaborazione coi fiocchi, insomma, per analizzare la storia, l’economia e l’urbanistica di Benevento.
Ecco un passaggio significativo della nota introduttiva al secondo volume nel quale Ciccio Romano denunciava i caratteri della citta’ di Benevento quali propri dell’organizzazione capitalistica della societa’.
“Dopo una piu’ che secolare applicazione di misure contrarie all’economia del Mezzogiorno, mercato del supersfruttamento del capitale, dopo la lunga grande rapina, dopo 120 anni di dominazione di classe, i caratteri della citta’ meridionale sono ormai sempre piu’ chiaramente mancanza di lavoro per i giovani, carenze ed arretratezze delle attivita’ produttive, sfruttamento del lavoro, lavoro nero e sottopagato, assistenzialismo, squilibri.
Concepire il ruolo di una citta’ meridionale, senza la consapevolezza della realta’ storica, dell’economia, della struttura produttiva, puo’ condurre a sostituire quello che si ha in mente, l’irreale al reale, a trasfigurare i termini concreti, strutturali della citta’, ad indicare un correttivo idealistico ad un processo che e’ legato alle leggi ed alle contraddizioni del cosiddetto sviluppo. Con il pericolo di idealizzare la questione e diffondere illusioni e sfiducia…”.
Su questi temi Ciccio Romano aveva gia’ ampiamente illustrato le sue convinzioni nella nota introduttiva al primo volume. Al riguardo, la chiosa finale e’ degna di essere trascritta:
“…Giunti a questo punto desidero, se mi e’ consentito, esprimere due pensieri.
Il primo e’ che nelle lotte per i cambiamenti radicali nella citta’ e nel Mezzogiorno, occorre vincere decisamente il pessimismo, la filosofia del ‘tanto non cambia niente’.
Tutta la letteratura del pessimismo serve soltanto a diffondere sfiducia, e’ una vecchia arma per rendere mansueta la gioventu’.
Il secondo e’ il seguente. L’errore di fondo, in cui tanti da giovani siamo caduti, e’ l’idealismo, cioe’ quella convinzione candida che il mondo possa cambiare con la lotta delle idee, indipendentemente dalla sua realta’ materiale, che, vuoi o non vuoi, nonostante queste idee esiste”.
Un discorso, come si vede, molto pragmatico (ed attuale anche) se si considera il quadro di desolazione che incornicia la citta’ di Benevento che induce le nostre migliori energie giovanili ad emigrare al nord o addirittura all’estero in cerca di lavoro.

Francesco “Ciccio” Romano (1916-2005), avvocato, politico, saggista, giornalista, e’ stato per vari decenni uno dei protagonisti assoluti della vita politica e sociale di Benevento.
Aderi’ alla Resistenza distinguendosi, in particolare, per un atto idealistico di danneggiamento di un deposito di carburanti a Genova che riforniva gli automezzi nazisti. Sfuggito alla rappresaglia dei soldati tedeschi, con l’amico Andrea Ferrannini, che condivideva i suoi stessi ideali politici, profuse tutto il suo impegno nell’appoggio alla nascente Repubblica. Nell’immediato dopoguerra alterno’ la sua attivita’ professionale di avvocato, nella quale si distinse soprattutto per le sue arringhe penali da fine oratore, a quella di politico, iscrivendosi al Partito Comunista dal quale si allontano’ dopo “i fatti d’Ungheria” per avvicinarsi alla componente di sinistra del PSI dove strinse rapporti intensi con Francesco De Martino. Fu consigliere comunale e provinciale e con la collaborazione di Alberto Bozzi, Mario Razzano e Nicola Covino, socialisti “storici” di Benevento, fondo’ la Sezione Labriola del PSI, per molti anni un vero e proprio laboratorio politico di sinistra di intervento fattivo e concreto in citta’.
Dopo l’avvento di Bettino Craxi, non condividendone la linea politica, si allontano’ dal PSI e negli anni novanta torno’ alla partecipazione politica attiva risultando il primo eletto nelle file del PDS come indipendente alle elezioni comunali.
Pubblico’ diversi volumi incentrati soprattutto su Benevento e famosi furono i suoi interventi pubblici su alcuni temi importanti della vita cittadina, tra cui la difesa dell’ambiente naturale del parco fluviale e della zona archeologica di contrada Cellarulo attraverso il sostegno teorico e materiale del Comitato “Giu’ le mani” con la collaborazione autorevole di Gabriele Corona, e le sue idee sul ruolo di Piazza Orsini e Piazza Duomo.
A lui e’ intitolata la sala conferenze della Biblioteca Provinciale di Benevento.
Uomo dotato di una vasta cultura, una sua biblioteca personale di circa 25.000 volumi, custodita dai figli, fa’ da splendida cornice alla Fondazione eretta in suo nome.

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Cronaca

TOP SANNIO – Quel “pasticciaccio” di Piazza Cardinal Pacca: Gianni Vergineo avrebbe chiamato in causa “la voce delle pietre” –

Scavo si, scavo no. La vicenda dei reperti archeologici rinvenuti a Piazza Cardinal Pacca, piu’ comunemente nota come Piazza Santa Maria, riaccende la polemica tra chi stigmatizza l’importanza di salvaguardare un patrimonio storico che vanta la citta’ di Benevento e chi, invece, preferisce la sua sepoltura eterna in omaggio ad un presunto tocco di modernita’ rappresentato, nel caso in questione, da un Punto Informazione per turisti.
La mobilitazione cittadina ha finora permesso un lieve passo in avanti della Soprintendenza che, dopo un preoccupante tentennamento, ha autorizzato gli scavi dopo la scoperta di una quarta tomba.
E’ un segnale positivo ma parziale: bisogna continuare a scavare perche’ sotto la pavimentazione stradale ci sono i resti di una storia che non va’ dimenticata, che e’ testimone di un tempo felice che fece della citta’ dei Sanniti uno dei centri piu’ importanti del Mezzogiorno.
E’ risaputo che la zona interessata dagli scavi sia stata diversi secoli fa un centro nevralgico degli interessi commerciali, sociali e religiosi della citta’ ma puntualmente si fa’ finta di ignorarlo a tutto danno del prestigio e del valore storico rintracciabile, tra l’altro, attraverso i monumenti piu’ belli, che altri non hanno, ed i passi celebri della letteratura latina.
Gianni Vergineo, storico, intellettuale e profondo conoscitore di Benevento, si stara’ rivoltando nella tomba per quanto sta accadendo.
In un testo di pregevolissima fattura “Benevento Romana”, nel quale descrive con la solita proverbiale chiarezza l’affascinante viaggio della Citta’ conquistata dai Romani, c’e’ un passaggio bellissimo e significativo nel capitolo “La voce delle pietre” che sottolinea il valore e l’importanza di un passato che non va’ relegato nell’oblio. Vale la pena di rileggerlo:
“La sua storia e’ il riflesso dell’epopea di Roma. Le poche notizie tramandate sulla sua esistenza sono come raggi di luce provenienti da una fonte di civilta’ di una valenza universale.
Non cancellano la ricchezza del divenire locale, ma scandiscono il senso di una dialettica storica, che connota il carattere della patria locale di valore eterni.
I quali si possono leggere ancor oggi incisi sulle pietre dei monumenti, sotto forma di sculture,epigrafi, stili di arte e di vita. Certo, le pietre non consentono una ricostruzione storica inequivocabile.
Sono i resti di crolli irreparabili fuori dai contesti originali, segni vaganti, spinti dal caso in direzioni oscure: tracce, orme, impronte, entrate in testi di codici, materiali, commentari di generazioni di eredi, alimento di un’ermeneutica incessante. Quante citta’ romane sono oggi solo un ricordo sepolto nel mistero dei secoli bui! Scomparse per sempre.
Gli accidenti infiniti della storia (i terremoti, le carestie, le invasioni e distruzioni dei nemici; le trasformazioni morfologiche dei luoghi, tutte le dinamiche della vita associata) dissolvono spesso ogni traccia. E anche se alcune citta’ sopravvivono nel nome, e’ quasi impossibile trovarle nello stesso ‘habitat’ di origine. Perche’, come gli uomini, anche le comunita’ si dileguano e rinascono, si spostano, traslocano, camminano. E cosi’ i documenti marmorei che esse custodiscono. Ma Benevento e’ un’eccezione. E’ rimasta  radicata sino ad oggi al suo modello di fondazione.
Distrutta, e’ sempre rinata sullo stesso posto, nelle stesse forme, intorno agli stessi monumenti di raccolta, pur nella successione della civilta’, dei modi di vita, di lavoro, di cultura. Le sue pietre hanno fatto il giro della citta’, ma non hanno varcato i confini urbani e territoriali.
Usate a decoro delle nuove costruzioni, anche se strappate al contesto originario, hanno conservato un’aria di identita’ genetica, dalla quale attingono, se non proprio l’autorita’ di testimonianze circostanziate, almeno l’autorevolezza di una tradizione aristocratica fedele alla memoria di famiglia…”.

Gianni Vergineo (1922-2003), docente di Italiano e Latino per circa 40 anni presso il Liceo Classico “Pietro Giannone” di Benevento, si e’ imposto prepotentemente nel panorama culturale sannita grazie soprattutto al suo impegno sociale e politico ed alle sue grandi capacita’ di saggista e storico.
Nel 1988 pubblico’ “Storia di Benevento e dintorni”, opera in quattro volumi, punto di riferimento essenziale per la conoscenza della citta’.
Assiduo editorialista del periodico “Gazzetta di Benevento”, scrisse numerosi saggi con la ” Rivista storica del Sannio”  e pubblico’ diversi libri sul Sannio.
A lui sono intitolati l’Auditorium del Museo del Sannio di Benevento e la Biblioteca Comunale di San Bartolomeo in Galdo.

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Giornalismo

TOP SANNIO – Per Alberto Abbuonandi, poeta e scrittore, le “streghe” sono ancora tra noi –

Da secoli il nome di Benevento e’ abbinato alla leggenda delle streghe, donne, per lo piu’, dedite a rituali magici in contatto con demoni, che facevano della citta’ campana la loro …patria d’elezione.
In un libro pubblicato nel 1988, dal titolo ” Le streghe di Benevento”  (Edizioni C.EDI.M. – Milano),Alberto Abbuonandi, “…poeta sensibile e raffinato cultore della storia e dell’antropologia beneventana”, cosi’ come lo descrive il prefatore dell’opera Domenico Rea, traccia un quadro sapiente di queste figure attraverso uno studio ed una ricerca approfonditi delle fonti non disdegnando di gettare il suo spirito critico su personaggi e tradizioni che ancora oggi mantengono intatto il loro fascino.
Da esperto conoscitore ed amante del vernacolo, che contribuisce a rendere piu’ piacevole la lettura, Abbuonandi, con poche ma efficaci battute, riesce a far immergere il lettore nell’anima della fantasia popolare con “…una capacita’ tutta moderna di saper perfino sorridere delle ombre dell’ieri…”.
Inciarmatori, maghi, fate, fattucchiere sono passati in rassegna come in una sfilata di moda nella quale lo stilista Abbuonandi descrive il loro abbigliamento mettendone in evidenza la diversita’ di stile
(uso di unguenti, fatture, olio d’oliva, zoccoli, salvadanai, ecc.) ed il marchio che li contraddistingue (janare, occhiarole, zucculare, mazzapaurielli, ecc.).
Il tutto condito da cenni storici, brevi ma coinvolgenti, che ci fanno conoscere personaggi reali (Bellezza Orsini), studiosi (De Blasio, Piperno, Foglia, ecc.) e procedure surreali.
Il volumetto termina con un capitolo (“Streghe dei tempi nostri”) che funge da messaggio principale rivolto alla societa’ civile: “…i voli delle streghe non finiranno mai…”  Esse “…vivono nei centri urbani e non si chiamano piu’ streghe, janare o inciarmatrici…”.
L’Autore conclude cosi’ il suo amaro sfogo sull’evoluzione della leggenda:
 “Oggi la strega non sorprende piu’, ne’ fa tanta paura. Spesso e’ tra noi e convive con noi con una presenza ossessivamente costante. Ha assunto, tra le altre, le sembianze del Benessere e del Consumismo che hanno portato alla violenza, alle catastrofi nucleari, alle distruzioni ecologiche.
Tutte angosce che spesso ci fanno “vedere le streghe” sotto questa nuova veste ma, invero, sempre piu’ aleggianti su di noi col loro fardello di illusioni, di guadagno facile, di arrivismo, ma anche con le conseguenziali disgrazie e calamita’. Conviveremo con l’alienazione, l’emarginazione e i vizi piu’ sfrenati mentre la pubblicita’ e i mass-media continueranno a stregarci chissa’ ancora per quanti anni, fino a cambiare sembianze e a ripresentarsi, di volta in volta, sotto altre forme. Anche il viaggio tra il REALE e L’IMMAGINARIO continuera’  a meravigliarci, proprio perche’ non sapremo mai porre una precisa demarcazione tra essi. Certamente anche le paure e le allucinazioni continueranno a suggestionarci ma potremo sempre ricorrere alla magia cosiddetta bianca, quella delle fate, quella che ci libera da malattie e disgrazie, che restera’ l’antitodo alla stregoneria piu’ nera e sfrenata. Forse, soltanto cosi’ streghe e fantasmi che ormai vivono tra noi saranno essi stessi sorpresi di non poter piu’ fruire del loro spazio oscuro perche’ illuminati dal falo’ della fede e della ragione”.

Alberto Abbuonandi (1938-2015), sannita, redattore e collaboratore di alcune riviste culturali, tra cui Proposta (Benevento) e Scena Illustrata (Roma), con articoli di varia umanita’ anche su quotidiani e quindicinali (Segnali, L’Iniziativa) di Benevento. Laureato in Giurisprudenza, fu Direttore Postale. Poeta in lingua e dialetto napoletano, compi’ ricerche sul vernacolo di Benevento. Si classifico’ ai primi posti in diversi concorsi di poesia e di narrativa nazionali. E’ incluso nell’Antologia Critica dei Poeti Dialettali Italiani “I Trovieri”. Notevole fu il suo impegno nel campo dello sport. Fu arbitro e poi Presidente Provinciale di Benevento della Sezione Arbitri.  Fu insignito dal Coni della Stella d’Oro al Merito Sportivo.

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Giornalismo

TOP SANNIO – Giuseppe De Lucia, giornalista, scrittore, docente, in un suo scritto ipotizzo’ il luogo delle “Forche Caudine” –

Dove avvenne il memorabile fatto storico comunemente ricordato sotto il nome delle “Forche Caudine” ?
In un suo libro, pubblicato nel marzo del 1969 dal titolo “Topografia delle Forche Caudine”, il compianto Giuseppe De Lucia, all’esito di laboriose ricerche ed approfonditi studi nonche’ di osservazione diretta dei luoghi nei quali si ritiene accaduto l’avvenimento, confuto’ numerose teorie di illustri storici di fama mondiale avanzando un’ipotesi considerata tuttora la piu’ veritiera ed attendibile:
l’evento si verifico’ presso Caudio (antica localita’ dove ora sorge Arpaia), a pochi chilometri di distanza da Forchia.
Prima di addentrarsi nei dettagli dell’episodio, De Lucia passa in rassegna tutte le fonti piu’ vicine nel tempo all’evento storico respingendo le tesi di storici latini e greci famosi quali Plutarco, Diodoro, Cicerone, Dione Cassio,  per citarne solo alcuni, soprattutto per gli accenni vaghi ed indeterminati dedicati al fatto storico mentre mostra interesse per la descrizione accurata e precisa che lo storico Tito Livio fa’ dei luoghi, pur riconoscendo i limiti di quest’ultimo per la circostanza ‘temporale’ in quanto Livio visse alcuni secoli dopo i fatti di Caudio e fu costretto a servirsi degli storiografi che lo precedettero per   raccontare l’evento.
L’episodio in questione avvenne nel 320 a.C. ma il De Lucia racconta come, prima di quella data, il popolo sannita si fosse affermato “non solo sui territori della propria naturale giurisdizione, ma anche e in modo rilevante all’esterno”: Amiterno, Cassino, Marcina, Nola, Nuceria, Pompeia, Erculano, Capua erano via via cadute tutte sotto i colpi dei Sanniti con i quali i Romani erano addivenuti ad una pace ritenuta necessaria per timore della loro potenza; una pace continuamente minacciata e poi definitivamente violata dopo che il Senato di Capua invio’ legati a Roma chiedendo aiuti per liberarsi dell’oppressione sannita.
La richiesta dei Romani di far cessare immediatamente le ostilita’ contro i cittadini di Capua fu vista come una violazione dei patti e fu cosi’ che i Sanniti diedero battaglia ai Romani che li piegarono con grande fatica.
Il trattato di pace che ne segui’ fu di breve durata in quanto i Sanniti non avevano mai dimenticato l’onta subita, desiderosi com’erano di debellare Roma e riconquistare la loro liberta’ ed indipendenza.
Il Senato romano, infatti, pretese il controllo di tutte le azioni, pena l’imposizione di un contingente armato di truppe, incrementando in tal modo l’odio che i soldati sanniti nutrivano verso l’arroganza dei romani.
L’occasione di riscatto avvenne con la nomina di Caio Ponzio a capo dei Sanniti, un uomo bellicoso che riusci’ a creare nei suoi sudditi gli stimoli giusti per aspirare alla vendetta.
Caio Ponzio, da ottimo stratega, capi’ che affrontare i Romani in campo aperto avrebbe con ogni probabilita’ portato il suo popolo alla sconfitta, considerata la forza delle legioni di Roma, e preferi’ agire d’astuzia.
Nell’anno 321 c.C. due eserciti romani si accamparono presso Calatia, alle porte del Sannio, decisi a portare un attacco nel cuore della regione sannita.
Caio Ponzio condusse il suo esercito, di nascosto, nei dintorni di Caudio dopodiche’ invio’ negli accampamenti romani dieci suoi uomini, travestiti da pastori, dando loro il compito di diffondere la notizia, ovviamente fasulla, che le milizie sannitiche si erano tutte trasferite in Puglia a combattere la cittadina di Lucera, prossima ormai a cadere nelle loro mani.
C’e’ da dire che il Senato romano aveva precedentemente deliberato di trascurare la Puglia per meglio impiegare le sue forze contro i Sanniti ma le notizie ricevute avevano fatto loro cambiare idea e cosi’ i Romani decisero di marciare in direzione Puglia perche’ non intendevano perdere una citta’ confederata e fedelissima.
Dalla Campania, per raggiungere Lucera c’erano due vie: una era piu’ lunga, circa 400 miglia,  ma attraversava territori occupati da popoli amici o neutrali, l’altra, piu’ breve,circa 40 miglia,  era piu’ accidentata e per percorrerla bisognava passare in zone occupate da popoli nemici.
I Romani optarono per la seconda soluzione perche’ desiderosi di arrivare a Lucera in tempi piu’ rapidi, vista l’urgenza di prestare aiuti agli alleati.
Messosi in cammino, giunsero in un campo “acquoso ed erboso, largo ma circondato da monti e da rupi scoscese con due sbocchi angusti e selvosi. Penetrati nel primo sbocco i due consoli si avvidero che a un punto della strada vi era un’ostruzione fatta da macigni e tronchi di alberi ed impossibile era pertanto, il procedere. Essi si accorsero che il nemico era appostato sui monti circostanti e tentarono di indietreggiare ma, nel frattempo, anche lo sbocco di entrata era stato ostruito, barricato e custodito dalle armi nemiche.
Circondati da ogni dove, i Romani si accamparono in vicinanza dell’acqua ed in quella insostenibile posizione passarono quel giorno e la notte, continuamente beffeggiati e insultati dal nemico che, appostato sui monti, osservava e aspettava. I pareri erano discordi sul da farsi: nondimeno, come possiamo arguire dalla lettura di alcuni storiografi, tentarono anche di aprirsi un varco con la forza; ma vani furono i loro sforzi poiche’ ogni volta le milizie furono decimate negli assalti e private dei capi, si’ che i Romani vennero nella determinazione di inviare un’ambasceria ai Sanniti per chiedere la pace o, se questa fosse stata negata, per sollecitarli a provocare la guerra.
Incerto sul da farsi, Caio Ponzio mando’ a chiedere consiglio al vecchio padre Erennio, che l’eta’ aveva costretto a deporre ogni velleita’ di guerra. Erennio rispose: o doversi mandare liberi e salvi tutti i soldati, acquistandosi in tal modo per sempre la riconoscenza e l’amicizia del popolo romano o doversi uccidere tutti i soldati perche’ venisse inferto ai Romani un colpo tale che i Sanniti potessero essere tranquilli per un lungo giro di anni.
Caio Ponzio, pero’, non fu ne’ dell’uno avviso ne’ dell’altro e rispose ai legati: che la guerra era finita, ma poiche’ i Romani non riuscivano a deporre la loro baldanza anche nella sconfitta, egli li avrebbe fatti passare sotto il giogo, disarmati e con una sola veste.
A tale ignominia i soldati romani avrebbero preferito la morte, ma il capo dei legati L. Lentulo fece notare, con un elevato discorso, la necessita’ di conservare a Roma la vita dei suoi soldati. Allora i consoli, i legati, i Questori ed i tribuni dei soldati firmarono la pace consegnando 600 cavalieri come ostaggi. Quindi, deposte le insegne, le armi, le vesti, tutti, dai consoli ai piu’ umili soldati, passarono sotto il giogo, sopportando le grida di scherno dei soldati nemici assiepati al loro passaggio.
(Il giogo era rappresentato da due lance infisse in terra con un’altra ad esse sovrastante).
Cosi’, seminudi, presero la via di Capua.
Ma cio’ che forse non avrebbe fatto la morte fecero la vergogna e il dolore”.
Nella parte finale del libello Giuseppe De Lucia afferma:” L’ignominia subita aizzo’ i Romani alla piu’ dura delle vendette e mai furono paghi finche’ non ebbero distrutte tutte le abitazioni dei loro nemici.
Solo Benevento fu da Lucio Silla rispettata”.

GIUSEPPE DE LUCIA (1922-2008) fu docente di italiano e latino negli istituti superiori e preside in diverse scuole medie della provincia di Benevento, tra cui, per lunghi anni, la “Bosco Lucarelli” di Benevento.
Negli anni cinquanta, da giornalista-pubblicista, fu redattore capo del periodico “La vita del Mezzogiorno” edito a Santa Maria Capua Vetere; per oltre quindici anni e fino al 1970 fu corrispondente del quotidiano romano “Il giornale d’Italia”.
Nel 1961 fondo’ il settimanale “Messaggio d’oggi” assumendo la carica di direttore fino alla meta’ degli anni novanta.
Dal 1980 al 1987 fu Presidente dell’Assostampa Sannita.
                                                            Giuseppe De Lucia

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Esoterismo

VIVREMO IN ETERNO ? Riflessione personale all’indomani della cessazione dell’esistenza materiale –

Che cos’e’ la morte ? Il nulla eterno o il passaggio ad un’altra forma di esistenza ?
Molti studiosi nel corso dei secoli si sono posti quest’interrogativo senza trovare una soluzione: la nostra ragione e’ limitata e non puo’ afferrare cio’ che per noi e’ impenetrabile.
Chi scrive non ha, ovviamente, la pretesa di…incrociare le armi contro persone geniali che hanno dedicato gran parte del loro tempo e della loro intelligenza allo studio di tale tematica.
La mia riflessione, pertanto, non ha alcuna base scientifica ne’, tantomeno, empirica ma e’ solo un’ipotesi scaturita da esperienze personali e vaste letture sull’argomento.
Delle numerose esperienze personali non e’ il caso di farne menzione perche’ suscettibili di giudizi condizionati dalle particolari convinzioni, religiose, ideologiche, scientifiche, ecc. di ognuno.
Attraverso, pero’, le opinioni di tante celebrita’ che si sono cimentate e si cimentano ancora su questa complessa materia, mi sono formato una convinzione che, tra l’altro, mi aiuta ad affrontare il concetto della morte con maggiore coraggio e serenita’.
Io credo che il nostro corpo fisico altro non e’ che un involucro esterno che racchiude la vera identita’ dell’essere umano che e’ l’anima.
Quando una persona muore, l’anima abbandona il suo corpo e si trasferisce nel cosiddetto ” Aldila’ ”
ovvero un universo costituito da una dimensione diversa da quella terrena dove l’anima, insieme ad altre anime, trova la pace eterna e non riceve punizioni o ricompense bensi’ un “corpo” di luce commisurato al grado di perfezione od imperfezione raggiunto sul piano terrestre.
Tutti i riconoscimenti, ricchezze, ranghi sociali conseguiti sulla Terra non conteranno nell’aldila’ ne’ amicizie, raccomandazioni o posizioni di privilegio.
Coloro che si sono contraddistinti sulla Terra per il loro comportamento malvagio, intriso di valori morali negativi avranno un corpo di luce modesto ed immerso nell’ombra; chi, al contrario, ha fatto dell’amore e dell’altruismo il suo costume di vita sulla Terra, andra’ nell’aldila’ con un corpo di luce splendente che rendera’ felice il suo “soggiorno” eterno.
Ma di che cosa e’ fatta l’anima ?
Secondo me l’anima e’ fatta di pensiero, una sostanza impalpabile, invisibile, dove vengono conservate tutte le esperienze  accumulate durante la fase esistenziale.
Il pensiero si trasforma poi in memoria forse attraverso il riposo notturno od un meccanismo, tuttora ignoto, che permette la registrazione degli eventi piu’ importanti e la cancellazione di quelli irrilevanti.
L’anima, insomma, si identifica con la coscienza che, in base al suo livello, passa di gradino in gradino verso le alte sfere di spiritualita’ grazie alle preghiere che le vengono rivolte ed alle esperienze maturate nelle altre dimensioni celesti.
La differenza con il corpo fisico deriva dal fatto che quest’ultimo e’ un prodotto della terra, come un albero che rimane al suolo quando viene abbattuto. L’anima, invece, e’ un essere cosmico che non entra in comunicazione solo con i livelli di vibrazione della terra ma con livelli piu’ alti, propri della sua condizione spirituale.
Ma attenzione! L’anima, dopo la separazione dal corpo, continua a vivere nell’aldila’ mantenendo lo stesso livello di coscienza di quando era inserita nel corpo fisico.
Per tale motivo, sperare in richieste di divinazione da rivolgere a cari estinti, a mio avviso, e’ perfettamente inutile; chiedere, invece, aiuti sotto forma di suggerimenti o pareri, questo si, ritengo sia possibile in special modo se l’entita’ a cui ci si rivolge si e’ contraddistinta sulla terra per le sue doti di saggezza, equilibrio, intelligenza, ecc.
Se in vita l’essere non brillava in certi campi, nell’aldila’ manterra’ la stessa posizione deficitaria: insomma, sopravviveremo in un’altra dimensione mantenendo la nostra personale individualita’.
E questa nostra personale individualita’, al cospetto di altre anime con le quali entrera’ in relazione, se in possesso di un corpo di luce rilevante, forgiato mediante un’esistenza terrena meritevole, occupera’ nell’aldila’ una posizione tale da condurre una vita ultraterrena felice e libera.
E magari, in una ipotetica gerarchia futura, avra’ un incarico importante: una funzione di guida, di assistenza, di aiuto ad esseri ancora viventi o ad anime appena trasmigrate.
Ecco, allora, perche’ e’ importante prepararci …alla nuova esistenza nel migliore dei modi.
Certo, per la nostra natura di esseri umani, deboli, imperfetti, fragili dobbiamo rassegnarci a sopportare una vita dura e di stenti, in un ambiente ostile, nella consapevolezza che la societa’ in cui viviamo ci porta continuamente a deviare dalla retta via, a volte vittime inconsapevoli di convenzioni sociali, frivolezze e tentazioni.
Forse, e’ lo stesso… Ente Supremo che ci pone di fronte alle asprezze della vita per prepararci ad un’esistenza futura bisognosa di individui di un certo livello che siano capaci di assolvere a compiti superiori.
Ne’ e’ da escludere l’eventualita’ che la nostra collocazione sulla Terra o, perche’ no?, su altri pianeti possa rappresentare una forma di espiazione delle colpe commesse dall’individuo in altre esistenze precedenti per dargli la possibilita’ di rimediare ed evolversi spiritualmente fino all’acquisizione di un migliore corpo di luce.
In questo quadro, diventa oltremodo fondamentale compiere scelte personali basate su valori morali giusti, fondati sull’amore verso gli altri esseri umani, gli animali, le piante, la Natura in senso lato, allargare i propri orizzonti, fortificare la mente, avere un costume di vita che ci dia la possibilita’ di farci occupare nell’aldila’ uno spazio di luce vicino ad anime affini e come tali degne di assicurarci un’esistenza felice.
Credo anche nell’esistenza di un Ente Supremo, che potremmo chiamare Dio, Signore, ecc., Creatore e..direttore d’orchestra di tutto quanto ci circonda,  che non identifico con l’immagine classica di un vecchio con la barba lunga e bianca, ad immagine e somiglianza del genere umano bensi’ con una mente universale la cui forma e’ avvolta nel mistero ed inaccessibile al nostro sapere.
Ammetto che la mia visione delle cose e’ influenzata dalle convenzioni maturate nel corso della mia esistenza per il cattolicesimo imperante, impresse sulla mia formazione sociale fin da bambino.
Ma questo e’ il mio pensiero, che non cozza con le mie vedute materialistiche ed ideologiche perche’, a mio modesto avviso, non c’e’ incompatibilita’ tra fede e ragione. Anzi, ritengo che gli sforzi per un miglioramento delle condizioni dell’umanita’ siano indispensabili per un rafforzamento dello spirito,
preliminare al potenziamento del famoso corpo di luce che ci attendera’ in un futuro quanto piu’ lungo possibile. Me lo auguro perche’ la vita, nonostante tutto, val sempre la pena di viverla.

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Esoterismo

L’ALDILA’ ESISTE – E’ quanto lascia intuire Salvatore De Toma nel suo ultimo libro: “Cronache del mistero” –

“Chi di noi non ha mai avuto esperienze di vita paranormale o, perlomeno, di episodi ai quali non ha saputo dare una spiegazione razionale?
Durante la nostra vita di relazione ci siamo trovati spesso a commentare fatti accaduti personalmente o ad altri che hanno destato il nostro stupore o la nostra curiosita’.
Ci siamo sicuramente scontrati con lo scetticismo di qualcuno e confrontati con le opinioni di quanti hanno fornito ragionamenti basati sulla religione, la medicina, la scienza, la filosofia, eccetera.
Di questa ampia problematica del paranormale, sicuramente un posto di primo piano lo occupa un aspetto che da sempre ha affascinato gli studiosi di ogni tempo e di ogni luogo: la visione dei fantasmi.
Al di la’ delle allucinazioni tipiche dei malati o di chi soffre di turbe psichiche, e’ innegabile che nel corso dei secoli si sono verificati innumerevoli casi di persone viventi che hanno dichiarato e documentato di aver avuto addirittura dialoghi con defunti.
Credenze popolari ? Superstizioni ? Esistenza di un’altra dimensione ?
Chi puo’ dirlo ?
Una cosa e’ certa: la nostra conoscenza sensibile e’ limitata e nessuno puo’ permettersi il lusso di asserire che non bisogna credere a nulla o, al contrario, credere a tutto senza un’adeguata riflessione.
Pur senza avventurarci in storie dai risvolti complicati e suggestivi, si possono citare fenomeni esemplari che sono all’ordine del giorno. Moribondi che sul letto di morte, in atteggiamento farneticante, improvvisano colloqui con cari estinti, defunti che all’atto del loro decesso appaiono ai loro amici assenti, persone che vedono spiriti in luoghi ove sono presenti ossa del cadavere od oggetti appartenuti a quest’ultimo.
Nella maggior parte dei casi, le visioni di spettri  sono appannaggio di singole persone i cui racconti sono soggetti a giudizi diversificati in ordine alla loro attendibilita’  e anche quando i defunti appaiono a due o piu’ persone si puo’ ragionevolmente ipotizzare un’allucinazione collettiva o contagiosa.
Oggi la cultura moderna e’ costretta a fare i conti con questi fenomeni per soddisfare ansie metafisiche che pervadono la societa’ e per trovare soluzioni a bisogni esistenziali sempre piu’ impellenti.
Chi crede in una vita ultraterrena non puo’ esimersi dal chiedersi se l’anima di un defunto, una volta separatasi dal corpo, dopo la morte, possa muoversi nello spazio, avvicinarsi ed agire dall’esterno su un altro corpo e sui suoi sensi e presentarsi come tale a persone viventi.
Cosi’ come i non credenti possono ravvisare la possibilita’  di una facolta’ cognitiva , presente all’interno del nostro organismo, ancora sconosciuta alla scienza, la cui azione raggiunga il nostro cervello, attraverso i sensi, permettendo la visione o comunicazione con i defunti.
Ipotesi suggestive ? Puo’ darsi.
I racconti che seguono non forniscono alcuna risposta ai quesiti sollevati. Si limitano a descrivere fatti realmente accaduti, arricchiti con sfumature prodotte dalla fantasia dell’Autore che non inficiano in alcun modo la veridicita’ degli stessi”.
(dall’Introduzione del libro “Cronache del mistero. Storie vere di fantasmi”, edito da “Pubme”, di Salvatore De Toma).
Il libro costa 8,00 euro e puo’ essere acquistato on line su Amazon.it