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TOP SANNIO – Quale ruolo per Benevento ? – Citta’ di servizi ? Di Cultura ? – “Ciccio” Romano negli anni ’80 guardava gia’ lontano –

Sono circa quarant’anni che e’ fermo il dibattito intorno al ruolo che la citta’ di Benevento dovrebbe ricoprire per restare al passo  con le altre realta’ meridionali e nazionali.
Verso la fine degli anni settanta e l’inizio degli ottanta, grazie all’insediamento universitario ed alla istituzione della Rassegna “Citta’ Spettacolo” era vivo il fermento intorno a temi importanti che interessavano non solo i cosiddetti “addetti ai lavori” (autorita’, istituzioni, enti locali, associazioni, ecc.) ma anche l’intero corpo sociale.
Allora, si era imposto il “filone” della Benevento citta’ di servizi da rilanciare per lo sviluppo di un territorio che da tempi immemorabili era entrato nel dimenticatoio.
Da piu’ parti si avvertiva l’esigenza di un indirizzo di incremento tecnologicamente aggiornato delle strutture dell’industria culturale mettendo in secondo ordine quello agricolo o produttivo in senso stretto.
Il sindaco Pietrantonio aveva avviato un processo di riflessione sul ruolo della citta’ insistendo sul tema culturale che, grazie al patrimonio storico e monumentale di Benevento, avrebbe potuto garantire uno sviluppo anche in termini economici, cosi’ com’era avvenuto in altre citta’, tra l’altro potenzialmente inferiori da questo punto di vista.
Sulla stessa falsariga marciavano Nico De Vincentiis, per il quale la nostra citta’ poteva costituire un polo di attrazione culturale in linea con l’ispirazione dei sostenitori della “citta’-spettacolo”, ed il Direttore del Museo del Sannio, Elio Galasso, che vedeva nel primato della cultura una fondamentale risorsa da sfruttare ed utilizzare economicamente.
L’avv. Francesco “Ciccio” Romano, da sempre punto di riferimento essenziale del mondo politico e culturale della sinistra locale, era intervenuto nel dibattito con tutto l’ardore e la passione, oltre che la competenza, che lo contraddistingueva, segnalando il limite del dibattito con una riflessione che andava oltre la superficiale visione dell’aspetto culturale per un approfondimento della questione, incentrato soprattutto sulla realta’ economica di Benevento.
In una importante pubblicazione dal titolo ” Benevento tra mito e realta’ “, in due volumetti, aveva coinvolto alcuni esponenti dell’ “intellighenzia” beneventana, e cioe’,  oltre ai gia’ citati Pietrantonio, De Vincentiis e Galasso, gli architetti Franco Bove, Angelo Bosco, Vincenzo Castracane, Pino Iadicicco, Pasquale Palmieri e poi ancora i professori Gianni Vergineo, Mario De Nicolais,  i giornalisti Rino Di Dio, Arnaldo De Longis e Nicola Russo, il dott. Renato Russo e poi ancora Gaetano Cantone, Lucio Colle, Mario Boscia, Michele Mazzone, Mario Razzano, Pietro De Paola, Antonio e Giovanni Romano, Giuseppe Bonetti, l’ing. Fabio Catalano, Giovanni Giordano, Domenico Petroccia, Alberto Bozzi. Una collaborazione coi fiocchi, insomma, per analizzare la storia, l’economia e l’urbanistica di Benevento.
Ecco un passaggio significativo della nota introduttiva al secondo volume nel quale Ciccio Romano denunciava i caratteri della citta’ di Benevento quali propri dell’organizzazione capitalistica della societa’.
“Dopo una piu’ che secolare applicazione di misure contrarie all’economia del Mezzogiorno, mercato del supersfruttamento del capitale, dopo la lunga grande rapina, dopo 120 anni di dominazione di classe, i caratteri della citta’ meridionale sono ormai sempre piu’ chiaramente mancanza di lavoro per i giovani, carenze ed arretratezze delle attivita’ produttive, sfruttamento del lavoro, lavoro nero e sottopagato, assistenzialismo, squilibri.
Concepire il ruolo di una citta’ meridionale, senza la consapevolezza della realta’ storica, dell’economia, della struttura produttiva, puo’ condurre a sostituire quello che si ha in mente, l’irreale al reale, a trasfigurare i termini concreti, strutturali della citta’, ad indicare un correttivo idealistico ad un processo che e’ legato alle leggi ed alle contraddizioni del cosiddetto sviluppo. Con il pericolo di idealizzare la questione e diffondere illusioni e sfiducia…”.
Su questi temi Ciccio Romano aveva gia’ ampiamente illustrato le sue convinzioni nella nota introduttiva al primo volume. Al riguardo, la chiosa finale e’ degna di essere trascritta:
“…Giunti a questo punto desidero, se mi e’ consentito, esprimere due pensieri.
Il primo e’ che nelle lotte per i cambiamenti radicali nella citta’ e nel Mezzogiorno, occorre vincere decisamente il pessimismo, la filosofia del ‘tanto non cambia niente’.
Tutta la letteratura del pessimismo serve soltanto a diffondere sfiducia, e’ una vecchia arma per rendere mansueta la gioventu’.
Il secondo e’ il seguente. L’errore di fondo, in cui tanti da giovani siamo caduti, e’ l’idealismo, cioe’ quella convinzione candida che il mondo possa cambiare con la lotta delle idee, indipendentemente dalla sua realta’ materiale, che, vuoi o non vuoi, nonostante queste idee esiste”.
Un discorso, come si vede, molto pragmatico (ed attuale anche) se si considera il quadro di desolazione che incornicia la citta’ di Benevento che induce le nostre migliori energie giovanili ad emigrare al nord o addirittura all’estero in cerca di lavoro.

Francesco “Ciccio” Romano (1916-2005), avvocato, politico, saggista, giornalista, e’ stato per vari decenni uno dei protagonisti assoluti della vita politica e sociale di Benevento.
Aderi’ alla Resistenza distinguendosi, in particolare, per un atto idealistico di danneggiamento di un deposito di carburanti a Genova che riforniva gli automezzi nazisti. Sfuggito alla rappresaglia dei soldati tedeschi, con l’amico Andrea Ferrannini, che condivideva i suoi stessi ideali politici, profuse tutto il suo impegno nell’appoggio alla nascente Repubblica. Nell’immediato dopoguerra alterno’ la sua attivita’ professionale di avvocato, nella quale si distinse soprattutto per le sue arringhe penali da fine oratore, a quella di politico, iscrivendosi al Partito Comunista dal quale si allontano’ dopo “i fatti d’Ungheria” per avvicinarsi alla componente di sinistra del PSI dove strinse rapporti intensi con Francesco De Martino. Fu consigliere comunale e provinciale e con la collaborazione di Alberto Bozzi, Mario Razzano e Nicola Covino, socialisti “storici” di Benevento, fondo’ la Sezione Labriola del PSI, per molti anni un vero e proprio laboratorio politico di sinistra di intervento fattivo e concreto in citta’.
Dopo l’avvento di Bettino Craxi, non condividendone la linea politica, si allontano’ dal PSI e negli anni novanta torno’ alla partecipazione politica attiva risultando il primo eletto nelle file del PDS come indipendente alle elezioni comunali.
Pubblico’ diversi volumi incentrati soprattutto su Benevento e famosi furono i suoi interventi pubblici su alcuni temi importanti della vita cittadina, tra cui la difesa dell’ambiente naturale del parco fluviale e della zona archeologica di contrada Cellarulo attraverso il sostegno teorico e materiale del Comitato “Giu’ le mani” con la collaborazione autorevole di Gabriele Corona, e le sue idee sul ruolo di Piazza Orsini e Piazza Duomo.
A lui e’ intitolata la sala conferenze della Biblioteca Provinciale di Benevento.
Uomo dotato di una vasta cultura, una sua biblioteca personale di circa 25.000 volumi, custodita dai figli, fa’ da splendida cornice alla Fondazione eretta in suo nome.

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Pollice su per … LA FESTA DELLA LIBERAZIONE – La Repubblica italiana celebra la liberazione del Nostro Paese dall’occupazione nazifascista –

Ricorre oggi il 76* anniversario della liberazione dell’Italia dall’occupazione nazifascista.
E’ un giorno importante che ricorda la conquista di valori ed idealità effettuata dalla Resistenza partigiana e confluita nella Nostra Carta Costituzionale.
E’ un giorno di festa ovviamente odiato dall’ultra destra che anche quest’anno non ha mancato di marcare il suo odio profondo come dimostra la presenza di svastiche su muri, bandiere e lapidi in molte città italiane.
I giovani, purtroppo, non hanno memoria storica e non possono capire che i diritti di cui godono oggi sono frutto della lotta antifascista.
Ma il vero problema sono soprattutto quegli adulti che vivono con indifferenza, se non addirittura con disprezzo, il giorno della Liberazione venendo meno al loro dovere di educare le nuove generazioni a prendere coscienza degli ideali di libertà e democrazia barbaramente repressi nel ventennio più cupo della storia della Repubblica Italiana.
Siamo tutti chiamati a diffondere, ciascuno secondo il proprio ruolo nella società, valori positivi e messaggi d’amore per frenare quell’onda malefica che innesca odio razziale, bullismo, violenza e tanti altri messaggi negativi veicolati da questo assurdo e deprecabile fanatismo ideologico dei vecchi e nuovi fascismi.

 

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Pollice su per…IL CENTENARIO DEL PARTITO COMUNISTA ITALIANO – Cent’anni fa nasceva a Livorno il più grande partito comunista dell’Europa Occidentale –

Il 21 gennaio 1921 a Livorno, durante lo svolgimento del XVII Congresso del Partito Socialista Italiano, l’ala di sinistra, in disaccordo con la linea politica, si separa fondando il Partito Comunista d’Italia, poi denominato Partito Comunista Italiano.
Il gruppo scissionista è formato, tra gli altri, da Antonio Gramsci, Umberto Terracini ed Amedeo Bordiga.
Durante il regime fascista, costretto alla clandestinità per l’opposizione allo stesso, promuove ed organizza la Resistenza contribuendo in maniera determinante alla caduta del regime.
Ispirato alle idee marxiste e leniniste, diventa il fulcro politico della sinistra italiana ed europea occidentale sostenendo battaglie per la democrazia ed a favore del movimento operaio e, in generale, delle fasce sociali economicamente più deboli ed emarginate.
Dopo la decisione di De Gasperi di estromettere le sinistre dal governo (1947), il PCI rimane fedele alle direttive politiche dell’Unione Sovietica distaccandosene, però, progressivamente per sviluppare una linea autonoma fino ad arrivare negli anni ottanta, con la segreteria di Enrico Berlinguer, all’affermazione dell’idea di compromesso storico e di terza via al socialismo.
Sotto la guida del leader sardo, molto amato anche al di fuori della militanza partitica, il PCI raggiunge nel 1976 il massimo consenso storico e nel 1984, dopo la morte di Berlinguer, diviene il primo partito italiano.
La scomparsa dello statista segna anche il declino del partito che, con la caduta del muro di Berlino ed il crollo dei partiti comunisti tra il 1989 ed il 1991, si scioglie su iniziativa del segretario Achille Occhetto: la “svolta” modifica il nome in Partito Democratico della Sinistra mentre una parte minoritaria guidata da Armando Cossutta fonda il Partito della Rifondazione Comunista.

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IL SACRIFICIO DEI 7 FRATELLI CERVI – Nel 1943 l’assassinio dei partigiani di Reggio Emilia –

Reggio Emilia 28 / 12 / 1943
Nella foto: i sette fratelli CERVI fucilati dai fascisti nel poligono di tiro di Reggio Emilia, tutti Medaglia d’Argento al Valor Militare alla memoria. Ettore (classe 1921), Ovidio (classe 1918), Agostino (classe 1916), Ferdinando (classe 1911), Aldo (classe 1909), Antenore (classe 1906) e Gelindo (classe 1901).
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Il 28 dicembre 1943 i sette fratelli Cervi furono fucilati dai fascisti nel poligono di tiro di Reggio Emilia.
Partigiani e convinti antifascisti, i sette fratelli Cervi appartenevano ad una famiglia di contadini molto attiva durante la Resistenza.
Il loro cascinale di famiglia diventò porto sicuro per tutti gli antifascisti e partigiani feriti nonchè per i prigionieri di guerra stranieri sfuggiti ai nazifascisti.
Catturati nella notte tra il 24 e il 25 novembre 1943 durante un rastrellamento, furono fucilati per rappresaglia a seguito dell’uccisione, da parte dei partigiani, del segretario comunale fascista di Bagnolo in Piano (RE), Davide Onfiani.

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NILDE JOTTI, PRIMA DONNA PRESIDENTE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI – Nel 1979 l’esponente comunista rivestì la terza carica dello Stato –

“Io stessa – non ve lo nascondo – vivo quasi in modo emblematico questo momento, avvertendo in esso un significato profondo, che supera la mia persona e investe milioni di donne che attraverso lotte faticose, pazienti e tenaci si sono aperte la strada verso la loro emancipazione”.
Queste parole, pronunciate da Nilde Jotti nel suo discorso di insediamento alla Presidenza della Camera dei Deputati il 20 giugno 1979, sono cariche di significato politico: per la prima volta nella storia della Repubblica Italiana una donna viene eletta Presidente della terza carica dello Stato.
Nata a Reggio Emilia nel 1920, Nilde Jotti aveva partecipato alla Resistenza ed era stata nominata membro dell’Assemblea Costituente con l’incarico, nella ristretta “Commissione dei 75”, di provvedere alla stesura della Costituzione.
Nelle fila del Partito Comunista aveva rivestito nel corso della sua lunga militanza diverse cariche importanti, avviando nel 1946 la famosa e chiacchierata relazione con Palmiro Togliatti, già sposato e più grande di lei di 27 anni, col quale aveva convissuto fino al 1964, anno della morte del leader del PCI.
Donna dal carattere forte ed autorevole, era diventata un’icona dell’organizzazione comunista.
Tra i banchi di Montecitorio era seduta ininterrottamente dal 1948 al 1999 e per tre volte consecutive era stata eletta  Presidente della Camera dei Deputati rimanendo in carica per ben 13 anni fino al 1992, un primato finora mai raggiunto.
Protagonista nella promulgazione della legge sul divorzio nel 1970 e nel successivo referendum abrogativo del 1974, il suo impegno politico era incentrato soprattutto sul rilancio della condizione femminile nel mondo del lavoro e delle relazioni familiari.
Il 18 novembre 1999, a causa delle sue condizioni di salute, era stata costretta a rinunciare, tra l’altro, all’incarico di Presidente della Camera: le sue dimissioni venivano accolte da un lunghissimo applauso.
Pochi giorni dopo, il 4 dicembre 1999, si spegneva per arresto cardiaco presso la Clinica Villa Luana di Poli, nelle vicinanze di Roma.