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Il Cammino del Benevento

PRIMA VITTORIA DEL BENEVENTO

Coda regala al Benevento la prima vittoria in serie A.
All’amaro Natale (sconfitta al 91′ su rigore a Genova) segue un Felice Capodanno: a farne le spese è il Chievo Verona che solo dopo la marcatura dell’attaccante giallorosso trova la forza per impensierire la retroguardia sannita che soffre un pò nel finale ma riesce finalmente a portare a casa una vittoria storica, e con merito.
Parte bene il Benevento che già nel primo tempo potrebbe chiudere la partita, soprattutto con il giovanissimo Brignola che si fà tradire dall’emozione e fallisce davanti a Sorrentino un’ottima occasione per sbloccare il risultato.
La squadra di De Zerbi appare determinata al cospetto di un Chievo alquanto abulico e svogliato.
Parigini è tra i migliori fino a quando non si infortuna ed è costretto a lasciare ma Viola è il faro del centrocampo e la manovra è ordinata e lucida.  In difesa, Lucioni è l’uomo-chiave,  non condede sbavature ai compagni e non disdegna di creare pericoli alla porta di Sorrentino quando decide di portarsi all’attacco sui calci d’angolo.
Nella ripresa la musica non cambia fino al 19′ quando Coda con un intelligente tap-in mette la palla in rete risolvendo una mischia in area.
E’ a questo punto che i clivensi si decidono finalmente ad uscire dal proprio guscio e si avvicinano alla porta di Belec.  L’allenatore Maran prova a rimpinguare l’attacco inserendo Pucciarelli e Garritano mentre il Benevento si limita a ripartire in contropiede e nel finale rischia persino di raddoppiare prima con Brignola e poi con Viola.  I cinque minuti di recupero sembrano interminabili anche per l’incubo di rivivere momenti beffardi di delusione in “zona Cesarini” come ci ha abituati finora la Strega.  Poi il triplice fischio finale viene salutato con un boato dal pubblico: il Benevento vince la sua prima partita in questo campionato e può finalmente sorridere.
Il Tabellino
Benevento – Chievo Verona  1-0
FORMAZIONI: Benevento – Belec, Dijmisiti, Lucioni, Costa (dal 71′ Gravillon), Lombardi, Viola,
Memushaj, Venuti, Brignola, Coda (dal 78′ Di Chiara), Parigini (dal 40′ D’Alessandro)All. De Zerbi.
Chievo Verona – 
Sorrentino, Cacciatore, Tomovic, Cesar, Gobbi, De Paoli  (dal 77′ Pucciarelli),
Radovanovic, Hetemaj (dal 68′ Garritano), Birsa, Inglese (dal 55′ Stepinski), Pellissier.  All. Maran.
Arbitro: Forneau, di Roma 1
Rete: Coda (64′)
Note:
Ammoniti Radovanovic, Memushaj, Pucciarelli

Benevento-Chievo Verona 1-0.
L’esultanza di Coda dopo il gol “storico”.
(Foto LaPresse)


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GENOA-BENEVENTO 1-0: HANNO SCRITTO DI NOI

RECUPERO ANCORA MALEDETTO PER I CAMPANI. COME ACCADUTO SPESSO NELLE PRECEDENTI GARE, GIALLOROSSI PUNITI OLTRE IL 90′ DOPO AVER SCIUPATO MOLTO. DECIDE LAPADULA SU RIGORE.
Era una partita da vincere assolutamente e alla fine il Genoa l’ha vinta, ma quanta fatica.  Ha avuto bisogno di un calcio di rigore al secondo minuto di recupero per battere la squadra cenerentola di tutta Europa. (da “repubblica.it”).

Genoa-Benevento 1-0.
Il rigore vincente di Lapadula (leoni)

BELEC, CHE INGENUITA’, CICIRETTI DA TUTTO. (da “sportcampania.it”).
GIALLOROSSI PUNITI DA UN RIGORE NEL FINALE (da “iamcalcio.it”).
UN’ALTRA BEFFA IN PIENO RECUPERO (da “cronachedelsannio,it”).
LAPADULA ALLO SCADERE E IL BENEVENTO E’ ANCORA BEFFATO (da “fantagazzetta.com”).

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Il Cammino del Benevento

IL GENOA RINGRAZIA PER IL REGALO DI NATALE

Chi ha assistito alla partita Genoa-Benevento di oggi non può certamente rammaricarsi di non assaporare l’atmosfera natalizia quest’anno perchè il regalo elargito ai genoani all’ultimo minuto di gioco è di quelli che possono derivare solo dai..troppo buoni.
Per giustificare quest’ennesima sconfitta sicuramente giocatori e tecnico parleranno di beffa e di ingiustizia morale per una rete realizzata su rigore ed a tempo scaduto.
La verità è che la misura è davvero colma vista la madornale ingenuità con la quale puntualmente i giallorossi scendono in campo distinguendosi per gli incredibili errori in ogni reparto e l’incapacità di costruire trame di gioco basate su almeno tre passaggi consecutivi senza cedere il pallone all’avversario di turno.
Non che il Genoa avesse brillato, tutt’altro, anzi in numerose occasioni è stato sonoramente fischiato dai propri supporters che, evidentemente, vista la scarsa consistenza dei giocatori sanniti, si aspettavano un atteggiamento diverso.
Il ritorno in campo di capitan Lucioni, che godeva della fine della sospensione cautelare in attesa del processo, ha senz’altro evitato il proliferarsi di “svarioni” che eravamo abituati a vedere in difesa ma gli errori sono stati comunque numerosi ed anche banali.  Tra questi, è degno di menzione quello di Puscas nel primo tempo che, servito da Ciciretti in area, si faceva cogliere in contropiede sul pallone fallendo una ghiotta occasione. Nel finale il Genoa si rende pericoloso colpendo due volte i legni della porta difesa da Belec.
E’ nella ripresa che il Genoa ha costruito la vittoria dopo aver messo sotto pressione il Benevento.  L’uscita di Ciciretti, sostituito da Chibsah, ancora una volta inefficace (ma perchè De Zerbi si ostina ad impiegarlo?) ha complicato le cose.  Il ghanese si è reso protagonista, oltre che di una spenta visione del gioco, di una mancata realizzazione su contropiede avviato da Lombardi grazie alla lentezza con la quale ha raccolto l’invito di quest’ultimo e facendosi, così, respingere il pallone sulla linea di porta da un difensore genoano.
Ad onor del vero, anche i suoi compagni hanno buttato via palloni incredibili favorendo le incursioni degli avanti avversari che al 90′ sfruttavano un calcio di rigore concesso per un atterramento che Belec avrebbe potuto evitare se solo avesse avuto l’accortezza di scegliere il tempo giusto per uscire.
Lapadula dal dischetto non falliva. Continua la serie negativa del Benevento. Nei giorni scorsi è stato diffuso un comunicato molto critico della “Curva Sud” che tra le altre cose suggeriva lo schieramento in campo della formazione “Primavera” fino alla fine del campionato allo scopo di evitare le figuracce. Sembra una provocazione ma alla luce di quanto visto anche oggi come si può darle torto ?
Il Tabellino
Genoa – Benevento  1-0

FORMAZIONI: Genoa – Perin, Izzo, Spolli, Zucanovic, Rosi (dal 78′ Biraschi), Rigoni (dal 55′ Lapadula), Veloso, Bertolacci (dal 77′ Cofie), Laxalt, Taarabt, Pandev.  All. Ballardini.
Benevento – Belec, Dijmsiti, Lucioni, Costa, Lombardi, Del Pinto, Cataldi, Letizia (dal 77′ Venuti), Ciciretti (dal 70′ Chibsah), Puscas, Parigini (dal 57′ Gyamfi).  All. De Zerbi.
Arbitro: Abisso, di Palermo
Rete: Lapadula (91′ rigore)
Note: Ammoniti Lucioni, Del Pinto, Zukanovic, Lapadula, Cataldi, Belec, Lombardi.

Genoa-Benevento 1-0
Costa in duello con Pandev.

 

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Letteratura Universale

IL PADRE DIMENTICA…

Dal libro “Come trattare gli altri e farseli amici” di Dale Carnegie:
Ascolta, figlio: ti dico questo mentre stai dormendo con la manina sotto la guancia e i capelli biondi appiccicati alla fronte.
Mi sono introdotto nella tua camera da solo: pochi minuti fa, quando mi sono seduto a leggere in biblioteca, un’ondata di rimorso mi si è abbattuta addosso, e pieno di senso di colpa mi avvicino al tuo letto.
E stavo pensando a queste cose: ti ho messo in croce, ti ho rimproverato mentre ti vestivi per andare a scuola perchè invece di lavarti ti eri solo passato un asciugamani sulla faccia, perchè non ti sei pulito le scarpe.
Ti ho rimproverato aspramente quando hai buttato la roba sul pavimento.
A colazione, anche lì ti ho trovato in difetto: hai fatto cadere cose sulla tovaglia, hai ingurgitato cibo come un affamato, hai messo i gomiti sul tavolo.  Hai spalmato troppo burro sul pane e, quando hai cominciato a giocare e io sono uscito per andare a prendere il treno, ti sei girato, hai fatto ciao ciao con la manina e hai gridato:”Ciao, papino!” e io ho aggrottato le sopracciglia e ho riposto:” Su diritto con la schiena!”
E tutto è ricominciato da capo nel tardo pomeriggio, perchè quando sono arrivato eri in ginocchio sul pavimento a giocare alle biglie e si vedevano le calze bucate.   Ti ho umiliato davanti agli amici, spedendoti a casa davanti a me.  Le calze costano, e se le dovessi comperare tu, le tratteresti con più cura.
Ti ricordi più tardi come sei entrato timidamente nel salotto dove leggevo, con uno sguardo che parlava dell’offesa subìta?  Quando ho alzato gli occhi dal giornale, impaziente per l’interruzione, sei rimasto esitante sulla porta.  “Che vuoi?” ti ho aggredito brusco.  Tu non hai detto niente, sei corso verso di me e mi hai buttato le braccia al collo e mi hai baciato e le tue braccine mi hanno stretto con l’affetto che Dio ti ha messo nel cuore e che, anche se non raccolto, non appassisce mai.  Poi te ne sei andato sgambettando giù dalle scale.
Bè, figlio, è stato subito dopo che mi è scivolato di mano il giornale e mi ha preso un’angoscia terribile.  Cosa mi sta succedendo ?  Mi sto abituando a trovare colpe, a sgridare; è questa la ricompensa per il fatto che sei un bambino, non un adulto?  Non che non ti volessi bene, beninteso: solo che mi aspettavo troppo dai tuoi pochi anni e insistevo stupidamente a misurarti col metro della mia età.
E c’era tanto di buono, di nobile, di vero, nel tuo carattere!  Il tuo piccolo cuore così grande come l’alba sulle colline.   Lo dimostrava il generoso impulso di correre a darmi il bacio della buonanotte.
Nient’altro per stanotte, figliolo.  Solo che son venuto qui vicino al tuo letto e mi sono inginocchiato, pieno di vergogna.
E’ una misera riparazione, lo so che non capiresti queste cose se te le dicessi quando sei sveglio.
Ma domani sarò per te un vero papà.  Ti sarò compagno, starò male quando tu starai male e riderò quando tu riderai, mi morderò la lingua quando mi saliranno alle labbra parole impazienti.   Continuerò a ripetermi, come una formula di rito:”E’ ancora un bambino, un ragazzino!”.
Ho proprio paura di averti sempre trattato come un uomo.  E invece come ti vedo adesso, figlio, tutto appallottolato nel tuo lettino, mi fa capire che sei ancora un bambino.  Ieri eri dalla tua mamma, con la testa sulla sua spalla.  Ti ho sempre chiesto troppo, troppo “.

Dopo la lettura di questo passo meraviglioso (di W.Livingstone Larned), Dale Carnegie conclude il capitolo del suo libro con queste parole:” Invece di condannare l’operato della gente, cercate piuttosto di capirla. Cercate di immaginare perchè la gente fa quello che fa.
E’ molto più utile e interessante che criticare….

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DOPPIETTA DI FLOCCARI, BENEVENTO SPACCIATO

Quella che avrebbe dovuto essere la partita dell’ultimissima spiaggia si è rivelata per il Benevento la consacrazione quasi ufficiale della retrocessione.
E questo non solo per il risultato finale che ha visto per l’ennesima volta soccombere, e in casa, i giallorossi ma anche e soprattutto per il gioco espresso in campo, affidato come al solito ad individualità ed approssimazioni che anche una formazione non certo irresistibile come la Spal ha capito benissimo cercando ed ottenendo l’intera posta in palio.
A questo punto del campionato non è più prematuro fare bilanci, la classifica, purtroppo, è lì che parla chiaro: il Benevento è ultimo in classifica, 16 sconfitte su 17, 9 reti segnate e 40 subìte.
Ci si aspettava un’impennata d’orgoglio, una prestazione caratterialmente gagliarda, una determinazione tipica delle squadre consapevoli, come aveva improvvidamente, forse, annunciato e sperato mister De Zerbi alla vigilia, che solo una vittoria avrebbe potuto tenere acceso ancora quel lumicino di speranza per una salvezza ormai definitivamente compromessa.
Niente di tutto questo. Si è rivisto, come un copione ormai scritto da tempo, il solito Benevento confusionario, privo di idee e di grinta quale siamo abituati ad assistere.
L’ultimo baluardo che ancora teneva in vita lo stato comatoso della compagine sannita ovvero il pubblico è crollato, inevitabilmente: al fischio finale una bordata di fischi, solenne, implacabile, sacrosanta, ha accompagnato il ritiro dei giocatori beneventani negli spogliatoi.
E adesso ? Come affrontare lo strazio delle prossime gare con il morale a pezzi, l’incertezza di investimenti in un mercato dove non vale la pena di metterci piede se non per programmare con maggiore oculatezza (almeno si spera) il prossimo campionato in serie B, come sopportare la delusione, per usare un eufemismo, per l’andamento di un torneo tanto atteso e per il quale la città di Benevento verrà ricordata per i suoi record negativi ?
Per la cronaca, ci limitiamo solo ad alcuni episodi salienti.
Nel primo tempo, protagonista è stata la VAR che dapprima ha annullato un gol alla Spal e dopo un calcio di rigore alla squadra ferrarese; in entrambe le occasioni, la sua decisione è stata, comunque, giusta.  Il Benevento ha giocato meglio la prima mezzora cedendo agli spallini il quarto d’ora finale.
La ripresa è stata fondamentalmente favorevole agli ospiti che nei primi minuti hanno creato seri pericoli alla porta di Belec, in campo inaspettatamente al posto di Brignoli, colpendo anche una traversa con Floccari.
La rete del tanto discusso Costa, viziata forse da una deviazione di Cremonesi,  su mischia in area, aveva illuso i padroni di casa che, quasi timorosi di intravedere la prima vittoria in serie A, hanno subìto la reazione dei ferraresi che nel giro di nove minuti hanno ribaltato il risultato con una doppietta di Floccari grazie alla difesa “colabrodo” del Benevento.
Il 2 a 1 spezzava definitivamente le gambe ai ragazzi di mister De Zerbi che provava ad inserire Puscas e Coda al posto degli spenti Chibsah ed Armenteros. Tutto inutile, come le promesse di riscatto…
Il Tabellino
Benevento – Spal  1-2
FORMAZIONI: Benevento –  Belec, Letizia, Costa, Dijmsiti, Di Chiara, Chibsah (dal 74′ Puscas), Cataldi, Memushaj, Ciciretti, Armenteros (dal 79′ Coda), D’Alessandro (dal 52′ Parigini). All. De Zerbi.
Spal – Gomis, Salamon, Vicari, Cremonesi, Lazzari, Schiattarella (dal 77′ Mora), Viviani, Grassi, Mattiello, Floccari (dall’84’ Schiavon), Paloschi (dal 63′ Antonucci).  All. Semplici.
Arbitro: Pasqua, di Tivoli
Reti: Costa (59′), Floccari (64′-73′)
Note: Ammoniti Chibsah, Schiattarella, Letizia, Mattiello, Cremonesi.

Benevento-Spal 1-2
Floccari, autore di una doppietta. (Foto Lapresse)

 

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LA CARTA DI PIRI REIS

Dal Blog “Tanogabo.com” leggiamo e pubblichiamo:
La strana storia della carta è cominciata nel 1929 a Istanbul, che allora si chiamava Costantinopoli, quando venne ritrovata tracciata su pergamena.
Nel 1520 l’ammiraglio turco Muhiddin Piri Reis (1470-1554) compilava l’atlante Bahriyye, destinato ai navigatori.  Le carte nautiche di questo atlante, corredate da note esplicative e redatte su pelle di capriolo, furono più tardi scoperte dallo studioso Halil Edhem, direttore dei musei nazionali, il 9 novembre del 1929 nel palazzo di Topkapi, ad Istanbul.
Grazie alle sue attente ricerche, Edhem trovò citata l’origine delle carte che componevano l’atlante

Piri Reis

Bahriyye negli stessi scritti lasciati dall’ammiraglio Piri Reis; ebbene, narra questi che nel 1501, durante una battaglia navale contro gli spagnoli. un ufficiale turco di nome Kemal catturò un prigioniero che disse di aver preso parte ai tre storici viaggi di Cristoforo Colombo, e che possedeva una serie di carte nautiche davvero eccezionali.  Sarebbe stato proprio grazie all’aiuto di quelle carte nautiche così precise che il grande navigatore genovese individuò la meta finale del suo viaggio.
La carta era datata nel mese di Nuharrem nell’anno 919 dopo il profeta: nel 1513 dell’era cristiana. La carta era firmata da Piri Ibn Haji Memmed, nome completo dell’Ammiraglio Piri Reis.

Questa carta attirò l’attenzione di un primo ricercatore americano, Arlington Mallery.    Egli dimostrò, per mezzo di calcoli, confermati da successivi controlli, che la carta aveva richiesto conoscenze molto

Cristoforo Colombo

progredite di trigonometria sferica, che risaliva ad un’epoca antichissima, un’epoca in cui il ghiaccio dell’Antartico non ricopriva ancora la zona della Terra Regina Maud (Antartide).

Sulla carta in questione si trovano rappresentati in particolare il Rio delle Amazzoni, il Golfo del Venezuela, l’America Meridionale, da Baya Blanca al Capo Horn, ed infine, come abbiamo detto l’Antartide, informazioni che nessuno poteva possedere a quei tempi.

Il ricercatore americano Arlington Mallery

Il Prof. Charles H. Hapgood del Keene State College, New Hampshire, Stati Uniti assegnò alla carta di Piri Reis e ad altre carte analoghe il nome di “carte degli antichi re del mare”.

Charles H. Hapgood

Nella vita dell’Ammiraglio Cristoforo Colombo, scritta da suo figlio Ferdinando si legge che “(Colombo) Raccoglieva accuratamente tutte le indicazioni che marinai o altri potevano fornirgli.  E le seppe sfruttare così bene, che in lui maturò l’incrollabile convinzione di poter scoprire nuove terre a ovest delle isole Canarie”.   Inoltre, la distanza tra l’America del Sud e l’Africa vi è indicata con precisione sorprendente.
Il bottino rappresentato dalle misteriose carte disegnate da Colombo finì nelle mani di Piri Reis il quale, sulla base delle voci che correvano a quei tempi, racconta nei suoi scritti che “Cristoforo Colombo, nel corso delle sue ricerche, trovò un libro risalente all’epoca di Alessandro Magno e ne rimase così impressionato che, dopo averlo letto, partì alla scoperta delle Antille con le navi ottenute dal governo spagnolo”.  Qualcuno ha tracciato questa carta in un passato molto remoto, ed a noi sono pervenute delle copie come la Piri Reis o come quella di Oriontio Fineo, del 1531.   Su quest’ultima, le dimensioni del continente antartico corrispondono perfettamente a quelle riportate nelle più precise carte moderne.   Segnaliamo, infine, che un’altra carta turca del 1559, quella attribuita a Hadij Ahmed, ci mostra a sua volta una terra sconosciuta che forma un ponte tra la Siberia e l’Alaska attraverso lo stretto di Bering.   Questo passaggio terrestre svelerebbe molti misteri sulle migrazioni del Paleolitico; ma essendo scomparso certamente quasi 30.000 anni fa non si riesce a capire in che modo una civiltà terrestre, conosciuta o ignota, avesse potuto sapere della sua esistenza.

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ALL’UDINESE BASTA UN TEMPO

Dopo la bella prestazione col Milan ci si aspettava un Benevento decisamente più tonico. Alla fine ha vinto la squadra che ha sbagliato di meno, cioè l’Udinese, che ha fatto suo il risultato grazie ad un primo tempo sornione ma implacabile che ha capitalizzato al massimo due occasioni regalate dalla retroguardia giallorossa.
Complice la pioggia incessante che ha penalizzato il gioco, la formazione di De Zerbi è scesa in campo con un centrocampo privo di idee e di manovre corali: i pochi spunti offensivi sono stati creati più da azioni individuali che dal collettivo.
Nel primo tempo si sono visti errori a valanga da entrambe le parti e già al 4′ Barak, approfittando di un clamoroso “liscio” in area di Del Pinto, portava in vantaggio i suoi.
La rete, arrivata troppo presto, forse rovinava i piani di mister De Zerbi ma comunque la reazione del Benevento era di là da venire anche per la lentezza con la quale i giocatori sanniti cercavano di imbastire un’azione degna di questo nome.
All’Udinese bastava amministrare e non le era difficile vista la scarsa incisività di Puscas e compagni.
Quest’ultimo, insieme a Letizia, D’Alessandro e Djimsiti sembravano più in palla ma per il resto, a partire da uno spento o quasi nullo Parigini, era buio pesto.
Nel finale, ancora una volta grazie ad uno svarione della difesa, l’Udinese raddoppiava con Lasagna che tutto solo in diagonale superava Brignoli.
Nella ripresa De Zerbi cercava di correre ai ripari inserendo Armenteros ma solo con l’ingresso in campo, sicuramente tardivo, di Ciciretti la manovra si sveltiva.
Il Benevento sciupava alcune grosse occasioni da posizioni favorevolissime, di quelle per le quali sarebbe bastato solo appoggiare la palla in rete.  Ma oggi neanche questo è riuscito.
Il Tabellino
Udinese – Benevento 2-0
FORMAZIONI: Udinese – Bizzarri, Larsen Danilo, Nuytinck, Widmer, Barak, Fofana (dal 56′ Balic),
Jankto (dall’82’ Ingelsson), Adnan, Maxi Lopez (dal 64′ De Paul), Lasagna.  All. Oddo.
Benevento – Brignoli, Letizia, Djmsiti, Antei (dal 74′ Ciciretti),  Costa, D’Alessandro, Chibsah (dal 70′ Gyamfi), Del Pinto, Memushaj, Parigini (dal 55′ Armenteros), Puscas.  All. De Zerbi.
Arbitro: Aureliano
Reti: Barak (4′), Lasagna (41′)
Note: Ammoniti Costa, Jankto, Gyamfi

Udinese-Benevento 2-0.
La gioia di Barak dopo il gol

 

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CHE FINALE, BRIGNOLI GOLEADOR !

Il Benevento conquista il suo primo punto in serie A grazie al portiere Brignoli che nel finale si improvvisa goleador e con un angolatissimo colpo di testa in tuffo batte Donnarumma ed acciuffa il meritato pareggio.
Dopo 14 partite la “Strega” riesce finalmente a cancellare quell’infamante zero in classifica con un’impresa che ha dell’incredibile per una serie di motivi: perchè di fronte aveva il Milan, perchè il 2 a 2 finale è arrivato nei minuti di recupero e perchè a segnare la rete del pareggio ci ha pensato Brignoli, un portiere, quel portiere che non sempre finora aveva fatto parlare bene di sè e che anche oggi ha avuto le sue responsabilità in occasione delle reti avversarie.
Ma tutto è bene quel che finisce bene; un vecchio detto che calza a pennello per la prestazione del Benevento che ci ha creduto fino all’ultimo, ha finalmente sfoderato l’orgoglio dei tempi migliori ed ha dimostrato che, nonostante tutto, quella casella beffarda in fondo alla classifica è del tutto immeritata.
Il pareggio di oggi serve sicuramente a ridare morale ai ragazzi di De Zerbi e tiene acceso ancora quel lumicino di speranza di salvezza nel quale continuano a credere i tifosi, anche oggi accorsi in gran numero allo stadio.  Attratti certamente dal blasone dell’avversario ma anche, siamo sicuri, dalla voglia di incoraggiare la squadra.  E’ comparsa, finalmente, anche un pò di fortuna che ha ripagato il Benevento di tutte quelle gare perse nei minuti di recupero e ciò lascia ben sperare per il futuro dei sanniti chiamati al prossimo mercato …di riparazione con la prospettiva di arrivarci con il maggior numero di punti in classifica.
Già nel primo tempo si è visto un Benevento diverso dal solito, senza timori reverenziali anche se parecchi errori nel disimpegno sembravano dettati più dalla paura di sbagliare che non dal divario di livello tecnico degli avversari, più fluidi nella manovra e nel possesso di palla ma meno determinati ed aggressivi dei beneventani che regalavano il primo gol al Milan dopo una serie incredibile di errori in area e sotto porta: il gol di Bonaventura valeva a guastare la buona volontà dei giocatori giallorossi, oggi in divisa nera, che si avviavano negli spogliatoi in svantaggio dopo una prima fase equilibrata e dignitosa nella quale, tra l’altro, Parigini aveva clamorosamente fallito una grande occasione prima del vantaggio rossonero.
Il momentaneo pareggio arrivava all’inizio della ripresa con Puscas che era più lesto di tutti nel raccogliere una respinta di Donnarumma su una fucilata da fuori area di Letizia, tra i migliori in campo, e mettere in rete la palla dell’ 1 a 1.
Il pareggio galvanizzava i locali ma era il Milan a riportarsi in vantaggio grazie ancora una volta ad uno svarione della difesa che permetteva a Kalinic di colpire quasi indisturbato tra le maglie della difesa.
Sul 2 a 1 per gli ospiti la reazione del Benevento era buona e l’espulsione di Romagnoli rappresentava la svolta della partita.  Il Milan accusava il colpo e De Zerbi se ne accorgeva: dentro Coda e Brignola (buono il suo esordio in A) per un 4-2-4 a tentare il tutto per tutto.
Il finale era tutto di marca beneventana con i milanisti a difendersi nella propria metà campo e gli stregoni all’arrembaggio in avanti. Mancava poco allo scadere dell’ultimo dei 5 minuti di recupero concessi dall’arbitro quando sugli sviluppi di una punizione il portiere Brignoli con una rete spettacolare, degna del migliore centravanti, si riscattava da una prestazione non irresistibile castigando il Milan del neo allenatore Gattuso e regalando al Benevento il primo, prestigioso, meritato e promettente punto in serie A; un punto che vale oro, che fà morale e che fà comprendere ai giocatori sanniti che la loro reale forza non è quella contraddistinta da quella casella vuota finora posizionata in classifica.
Il Tabellino
Benevento – Milan  2-2

Benevento-Milan 2-2.
La gioia incontenibile di Brignoli dopo il gol del pareggio storico del Benevento. (tuttosport.com)

 

 

FORMAZIONI: Benevento – Brignoli, Letizia Djimsiti, Costa, Di Chiara (dall’80’ Gyamfi), Memushaj (dall’80’ Coda), Chibsah, Cataldi, D’Alessandro, Puscas, Parigini (dal 67′ Brignola). All. De Zerbi.
Milan – Donnarumma G., Musacchio, Bonucci, Romagnoli, Borini (dal 60′ Abate), Kessie, Montolivo (dal 73′ Biglia), Rodriguez, Suso (dall’87’ Zapata), Kalinic, Bonaventura.  All. Gattuso.
Arbitro: Mariani di Aprilia
Reti: Bonaventura (38′), Puscas (50′), Kalinic (57′), Brignoli (95′)
Note:
Espulso Romagnoli (75′) per somma di ammonizioni.  Ammoniti Cataldi, Di Chiara, Abate, Kessie.

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L’INFLUSSO DELLA COSCIENZA SUL CONCETTO DI TEMPO – Capitolo 4 –

IL TEMPO NELLA LETTERATURA
Il dramma dell’uomo in Pirandello.
La realtà nella quale viviamo è disordinata e l’azione umana è dedita ad una ricerca affannosa di ristabilimento dell’ordine, per sottrarla al caos ed adattarla alle sue esigenze.
Lo sforzo dell’umanità avviene attraverso varie forme, una di queste è il tempo che, però, viene inteso in modo fallace ed inconsistente.
Solo la nozione di durata e tempo soggettivo, scandito, cioè, dalla coscienza di ogni singolo individuo, è vero perchè la durata implica necessariamente un moto continuo, con salti, accelerazioni e decelerazioni dovuti alle peculiarità degli esseri viventi.
E’ questo il senso del pensiero di Luigi Pirandello che nella seconda parte della sua opera, “L’umorismo”, afferma che “…la vita è un flusso continuo che noi cerchiamo di arrestare, di fissare in forme stabili e determinate, dentro e fuori di noi. Le forme in cui cerchiamo di arrestare, di fissare in noi questo flusso continuo, sono i concetti, sono gli ideali a cui vorremmo serbarci coerenti, tutte le finzioni che creiamo, le condizioni, lo stato in cui tendiamo stabilirci.  Ma dentro noi stessi…il flusso continua, indistinto, sotto gli argini, oltre i limiti che noi imponiamo ed il flusso della vita è in tutti…”.

Da tale enunciazione nasce il dramma dell’uomo, che cerca invano di catturare il flusso in forme fisse e quindi inadeguate, ma più tenta di produrre forme diverse e più si aliena; quanto più si circonda di forme fittizie, tanto più si allontana dalla realtà.
In un’altra opera, “Il fu Mattia Pascal”, Pirandello mostra come il tempo non abbia uno svolgimento diacronico ma si dilata e si restringe secondo i ritmi della coscienza.
Nella narrazione i fatti non seguono lo stesso ordine con cui si sono verificati ma vi sono spostamenti all’indietro ed in avanti, restrospezioni ed anticipazioni: il romanzo inizia a vicenda conclusa perchè l’Autore vuole mettere in evidenza la distanza che separa il tempo dell’annunciazione dal tempo della storia.  In questo modo, il passato non perde importanza perchè ormai logoro e dissoluto ma, al contrario, viene valorizzato perchè, a dirla con Hauser, “…noi non solo siamo la somma dei singoli momenti della nostra vita, ma il prodotto dei nuovi aspetti che essi acquistano ad ogni nuovo momento (…). Non diventiamo più poveri per il tempo passato e perduto; solo esso anzi dà sostanza alla nostra vita…”.
Ritorna alla mente l’assunto di Bergson  sulla non scomponibilità del tempo e sulla inconsistenza del presente che, non appena lo percepiamo, è già passato. “…Noi non percepiamo praticamente che il passato dal momento che il puro presente è l’inafferrabile progresso del passato che fa presa sul sicuro…”.
Il romanzo “nuovo” di Italo Svevo.
Questa disarticolazione dell’ordine cronologico nel romanzo è presente anche in un altro autore, Italo Svevo, che ne “La coscienza di Zeno” sottopone il tempo a un trattamento nuovo rispetto all’ordinaria successione cronologico-causale, tipica del romanzo ottocentesco.
Il libro è autobiografico e narra di un ricco commerciante triestino che, giunto alla soglia dei sessant’anni, si rivolge indietro nel passato e fà una disamina della sua vita.
Ripercorre con la memoria gli ultimi 25 anni della sua esistenza, densa di eventi importanti: il matrimonio con Augusta, l’attività nella ditta del cognato Guido, il suicidio di quest’ultimo, la sua condizione sotto la tutela di un amministratore.

Italo Svevo

Nel romanzo vi è un continuo passaggio tra presente e passato, il narratore legge e sente il presente, filtrandolo attraverso il passato in una frequente contaminazione.
Nel capitolo relativo alla morte del padre si trovano già annunciati elementi che riguardano il matrimonio; la tecnica dell’anticipazione viene adottata dal romanziere per preparare il lettore ad una scena futura, che avrà luogo quando apparirà un nuovo personaggio.  E’ il caso di Guido, ma non solo; nel capitolo del matrimonio di Zeno viene inserita come anticipazione la digressione sulla morte del suocero.
Proprio come nella filosofia di Bergson, il tempo diviene una dimensione puramente legata al soggetto, per cui vengono alterati i rapporti tra la durata oggettiva degli eventi e la durata della narrazione.
I fatti sono accelerati o decelerati a seconda del valore qualitativo che attribuisce loro la coscienza.
Un avvenimento piccolissimo o banale, filtrato attraverso tutto ciò che passa nella coscienza degli individui in ogni istante, è in grado di dare vita a ricordi e ad assembramenti din idee che possono protrarsi per svariate pagine.
Il monologo interiore di Virginia Woolf.
Come Svevo, e proseguendo la via aperta da Henry James e Marcel Proust, anche la scrittrice londinese Virginia Woolf cerca di tradurre nella scrittura la fugacità delle impressioni, di dissolvere le forme tradizionali del racconto nel flusso di coscienza.

Virginia Woolf

Considerata l’antesignana del femminismo per il suo impegno attivo nella lotta per la parità di diritti fra i due sessi, Virginia Woolf si contraddistingue per il suo stile letterario basato su una tecnica innovativa rispetto a quella tradizionale.
La Woolf, infatti, eliminando la forma comune di dialogo diretto, si affida al monologo interiore del soggetto preso in quetione e, con un linguaggio particolarmente ricercato e raffinato, si serve di metafore e similitudini per esprimere il flusso di coscienza.
Nella sua narrazione non c’è una cronologia ben precisa perchè la scrittrice rappresenta lo scorrere del tempo in poche ore, giorni od anni ricorrendo a pensieri e ricordi suscitati dall’ambiente circostante.
Il tempo non è visto come uno scorrere perenne ma come una serie di momenti staccati l’uno dall’altro e successivamente riuniti per associazione di idee e per immaginazione.
Il vortice dei pensieri e delle emozioni dei personaggi descritti crea, attraverso la tecnica del monologo interiore, una commistione tra passato, presente e futuro sconvolgendo l’ordine cronologico che era stato alla base del romanzo tradizionale.
In tal modo, il narratore scompare dal romanzo permettendo al lettore di entrare nella psicologia del soggetto e di scovarne i lati razionali e irrazionali.
La bellezza senza tempo di Keats.
Una concezione originale del tempo, rientrante comunque in quella più complessiva di “tempo soggettivo”, è quella descritta nelle sue poesie dal poeta inglese John Keats.
Secondo Keats, la poesia rappresenta un’espressione del concetto di “Negative Capability”, caro al Poeta, secondo cui l’arte e la bellezza si manifestano anche e soprattutto attraverso ciò che è vago e misterioso, segreto e non svelato.
In un suo famoso componimento, “Ode su un’urna greca”, Keats esalta la bellezza senza tempo di un

John Keats

manufatto artistico dell’antica Grecia descrivendo le figure misteriose e sconosciute che ornano l’urna che lasciano al lettore l’immaginazione dei gesti e delle azioni che compiono sulle scene rappresentate.

Urna greca

Nella seconda strofa, tra le più suggestive, il poeta si rivolge all’ipotetico protagonista suonatore affermando che le melodie “inascoltate” sono ancora più dolci di quelle reali perchè non sono toccate dal tempo e l’immaginazione le rimanda alla sfera irrazionale.  Ed il sogno irrealizzato per Keats è perfetto perchè rappresenta un desiderio che può ancora compiersi: il reale spezza questo desiderio con un anegazione o con la sua realizzazione.
Il tempo di Joyce.
Il tempo pubblico, che Proust ritiene superficiale ed inutile, è ritenuto da James Joyce arbitrario ed inadatto a regolare la vita dell’uomo.
L’Autore porta nella sua opera, “Ulisse”, un più duttile senso del tempo; infatti, comprime il viaggio di Odisseo, che dura venti anni nel poema omerico, nelle sedici ore dell’esperienza unica di Mr. Bloom.
Joyce riesce a rappresentare l’eterogeneità del tempo mediante un’esposizione frammentata, alternando alla narrazione commenti sull’esperienza temporale di Bloom in relazione al tempo pubblico così come la tecnica del monologo interiore diretto serve a riprodurre la concezione di Bergson per cui la realtà è un continuo flusso, un perenne divenire.
Il “flusso di coscienza”, entrato nell’uso letterario dopo il 1890, è utilizzato in tutto il romanzo ma domina ininterrottamente quando Molly Bloom illanguidisce nel sonno; in questo episodio Joyce raggiunge la più completa dilatazione del tempo nella sperimentazione della coscienza della donna.
E’ l’unico episodio in cui non è designata alcuna ora particolare e si usa invece il simbolo dell’eternità e dell’infinito: la rigidità del tempo convenzionale, le sue nette partizioni sono inutilizzabili per rendere l’attività della mente; irrilevante è il quando e il dove Molly ha i suoi pensieri che sono un’infinita

James Joyce

riscrittura della sua vita, in perenne cambiamento col passare di ogni riflessione.
CONSIDERAZIONI FINALI
In questo rapido excursus del concetto di tempo attraverso il parere di alcuni tra i più autorevoli esponenti del mondo scientifico, filosofico, artistico e letterario, si è cercato di dimostrare che non sempre il tempo cronologico oggettivo, matematicamente e strumentalmente misurabile e quantificabile, coincide con il tempo interiore e spirituale a causa dell’influenza esercitata dal cosidetto “flusso di coscienza”.
Ma indipendentemente dalle diverse ed opposte visioni che si possono riscontrare una cosa si può affermare con certezza: il tempo è il principio essenziale che dà senso e valore alla nostra esistenza.
Cosa succederebbe, infatti, se per svariati motivi non avessimo più percezione dello scorrere del tempo ?  Se non ci fosse più, per esempio, l’alternarsi del giorno e della notte, della luce e del buio, se non ci fossero orologi, calendari, orari, ecc. ?
Non ci sarebbe alcun progresso, alcuna traccia di civiltà, addirittura alcun segno della nostra stessa presenza sulla terra.
Il genere umano è consapevole di essere soggetto ad un limite di tempo, anche se nessuno accetta la morte.
Tale stato incide sul nostro modo di rapportarci ai valori inducendoci alla domanda:”A che serve comportarci in un certo modo quando sappiamo che ogni cosa dovrà finire?”.
Se è vero che esiste una sorta di finalismo per quanto concerne l’universo, allora il finalismo dovrà esistere anche per il fluire del tempo.
C’è chi dice che dopo la morte non esiste che il nulla e chi pone, invece, in un’esistenza ultraterrena la possibilitò di vivere un vero significato della vita: l’argomento è superiore alla nostra portata e ci porterebbe su un discorso troppo lungo.
Ci limitiamo a rispondere alla domanda sopra citata in questo modo:”E’ giusto comportarci secondo certi valori perchè ciò rende migliore la Vita…”.

 

 

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L’INFLUSSO DELLA COSCIENZA SUL CONCETTO DI TEMPO – Capitolo 3 –

LA VARIABILE TEMPORALE NELL’ARTE.   Il cubismo.
La concezione del tempo come durata, elaborata da Henry Bergson, era destinata ad influire moltissimo nelle arti figurative.
La corrente artistica che forse più di ogni altra risentiva di tale influsso era il Cubismo che, rappresentando contemporaneamente momenti diversi di una medesima scena, introduceva per la prima volta in arte la variabile temporale.
La “ratio” ispiratrice del movimento era la visione dell’inutilità della riproduzione della realtà così come appariva ai nostri sensi perchè la coscienza umana rielaborava l’immagine visiva dell’oggetto conosciuto. “…ciò che vediamo è solo un dato di partenza che verrà trasformato, più volte nel tempo, dalla nostra coscienza…”.
Il più celebre esponente del Cubismo, Pablo Picasso, in un suo famoso dipinto, “Guernica”, manifestava proprio l’effetto devastante prodotto sulla sua coscienza dai tristi avvenimenti del 1937, l’aspetto che più lo interessava rispetto alla finalità di descrivere un fatto storico.
Com’è noto, l’artista spagnolo era rimasto emotivamente molto colpito dalla brutalità dell’evento bellico che aveva portato alla distruzione dell’omonima città durante la Guerra Civile Spagnola e in “Guernica” esprimeva la sua contrarietà ai regimi totalitari che si diffondevano in Europa nel corso del XX secolo.

Il dipinto “Guernica” di Pablo Picasso.

Alcuni particolari dell’opera facevano intendere i sentimenti di Picasso di protesta contro la violenza, la distruzione, la guerra in generale.

Pablo Picasso

Nella parte sinistra del quadro è raffigurato un toro che rappresenta il Minotauro, simbolo di bestialità.
Al centro, la lampada ad olio in mano ad una donna che scende le scale indica la ragione che non comprende la distruzione mentre la pace violata è rappresentata dalla colomba a sinistra che cade a terra in un moto di strazio.
Vicino, un cavallo agonizzante simboleggia il popolo spagnolo degenerato.
L’entità del dolore interiore accusato dal pittore è rappresentato mirabilmente dall’immagine, sulla sinistra, di una madre che grida la sua disperazione mentre stringe il figlio tra le braccia e di una seconda figura, sulla destra, che alza le braccia al cielo.
In basso, è raffigurato un corpo senza vita con una stigmate sulla mano sinistra a simboleggiare l’innocenza verso la crudeltà nazifascista (le truppe del generale Franco erano appoggiate dai tedeschi) ed una spada spezzata nella mano destra con un fiore che fa capolino come a dare speranza per un futuro migliore.
Le deformazioni dei corpi, unitamente alle lingue aguzze e ad altre forme contorte, delineano l’alto senso drammatico dell’opera, realizzata su un quadro (olio su tela larga 783 cm e alta 351 cm) di grandi dimensioni quasi a rappresentare una sorta di manifesto rivelatore al mondo dell’ingiustizia e crudeltà di tutte le guerre.
La “Persistenza della memoria” di Salvador Dalì.
Un altro grande artista, Salvador Dalì, conveniva sulla inesattezza delle ferree regole così come venivano enucleate dalla scienza e, in particolare, dalla meccanica.
In uno dei suoi dipinti più famosi, “La persistenza della memoria”, conosciuto anche come “Gli orologi molli”, il pittore surrealista, nel tentativo, perfettamente riuscito, di cancellare tutte le regole fisse

Salvador Dalì


che scandiscono la vita di tutti i giorni, come le regole del tempo scandite dall’orologio, simbolo delle convinzioni scientifiche e razionalistiche, mette in crisi il tempo meccanico con l’idea della memoria umana che del tempo ha una percezione ben diversa.

“Gli orologi molli” di Dalì

Osservando quest’opera ci si rende subito conto dell’impianto composito fortemente asimmetrico, con elementi distribuiti disorganicamente nello spazio aperto; l’intenzione dell’Autore è quella di dimostrare l’elasticità del tempo della memoria che segue parametri assolutamente personali, veloce quando si è felici, lento e pesante quando si è tristi.
Gli orologi appaiono dipinti con una forma poco definita, come fossero fluidi, adagiati sul paesaggio di Port Lligad e la loro deformazione nasce dall’idea di un sogno, con i ricordi che emergono dall’inconscio.
Anche i colori conferiscono all’opera la chiave della pittura di Dalì: essi sono accostati in maniera bizzarra, caldi e freddi, chiari e scuri, con una luce frontale che genera ombre profonde sulla superficie degli oggetti.
(Nel prossimo Capitolo: IL TEMPO NELLA LETTERATURA)